Il 26 febbraio del 1975 è una data da ricordare, per l’Iran: in quel giorno, infatti, lo Stato Mediorientale, allora guidato dalla dura mano dello scià Mohammad Reza Pahlavi, sottoscrisse la convenzione stilata dall’UNESCO riguardo ai siti da considerare patrimonio dell’umanità. Quindi, da tutelare a ogni costo, con buona pace di Donald Trump, a meno di non essere considerati alla stregua di organizzazioni terroristiche operanti al di là delle norme internazionali, come l’autoproclamato Stato Islamico che, infatti, non ci ha pensato due volte a far saltare in aria le millenarie mura di Ninive, in Iraq.
A placare le acque e correggere il tiro, ci ha pensato il Pentagono, che ha sconfessato la minaccia, buttata lì nel classico stile istrionico del Presidente stelle e strisce, di colpire i siti culturali dello “Stato canaglia” per eccellenza. Che poi, con ogni probabilità, Trump nemmeno sa quali siano, questi siti culturali. In ogni caso, gli Stati Uniti dovranno per forza di diritto internazionale rispettare le leggi vigenti in caso di conflitti armati.
Ma la speranza è che, dopo il contrattacco missilistico verso due basi statunitensi che fortunatamente non ha sortito alcun effetto, il conflitto si possa evitare. Almeno quello aperto e su larga scala, perché sappiamo quanto l’area rimanga instabile a prescindere dalle dimostrazioni lampanti di forza, attraversata da interessi e relazioni difficili da districare.
I primi tre siti dell’Iran a essere inseriti nella lista del Patrimonio Unesco, nell’ambito della terza sessione del Comitato, svoltasi a Parigi nel 1979, furono la piazza Naqsh-e jahàn, Persepoli, una delle cinque capitali dell’Impero achemenide, città costellata di antichissimi e fastosi palazzi, già saccheggiata e parzialmente distrutta da Alessandro Magno, e il complesso di ziqqurat di Tchogha Zanbil. Particolarmente iconica è la piazza Naqsh-e jahàn, a Isfahan, effigiata anche sulle banconote iraniane. Il complesso venne costruito tra il 1598 e il 1629, misura 160 metri di larghezza e 560 metri di lunghezza, con una superficie di 89600 metri quadrati. Il suo nome si può tradurre con “l’immagine del mondo” e tutto intorno sorgono numerosi edifici risalenti all’epoca safavide, come la Moschea dello Scià, il palazzo Ali Qapu e il Bazar.
Nei primi anni 2000 furono poi inseriti anche Takht-e Soleyman, il santuario più importante dello Zoroastrismo e dove ogni sovrano dell’Impero Sasanide si recava per umiliarsi all’altare del sacro fuoco, Arg-e Bam, una città-fortezza sulla Via della seta, e Pasargade, la prima capitale dell’Impero achemenide e luogo di sepoltura di Ciro il Grande.
Quindi, nel 2005, fu la volta di Solṭāniyyeh e del suo sito archeologico, mentre nel 2006, Bisotun con le sue iscrizioni in caratteri cuneiformi in tre diverse lingue, antico persiano, elamitico e babilonese, un documento fondamentale nella decifrazione di quel sistema di scrittura. Nel 2008, l’area dei complessi monastici armeni nel nord-ovest del Paese, composta da tre insediamenti cristiani: il Monastero di San Taddeo, il Monastero di Santo Stefano e la Cappella di Dzordzor. Una preziosa testimonianza degli scambi avvenuti tra le culture bizantina, siriaca, persiana, ortodossa e islamica. Nel 2009, il sistema idraulico fatto costruire da Dario il Grande e che, dal V secolo a.C., riforniva di acqua la città di Shushtar.
Nel 2010, il santuario con la tomba dello sceicco Safī al-Dīn ad Ardabil e lo storico bazar di Tabriz, uno dei più importanti luoghi dedicati al commercio, sulla via della seta. Nel 2011, nove giardini selezionati da diverse regioni dell’Iran. Nel 2012, il monumento funerario della torre a stella di Gonbad-e Kavus – che, con un’altezza totale di 53 metri, è una delle torri in mattoni più alte del mondo – e la Moschea del Venerdì di Isfahan, con le sue spettacolari cupole decorate.
A Teheran si trova il Palazzo del Golestā, la residenza storica della dinastia reale Qajar e il più antico monumento della città. Qui fu incoronato lo scià Mohamad Reza. Nella parte sud orientale dell’Iran, al confine con Pakistan e Afghanistan, c’è Shahr-e Sukhte, la Città Bruciata, scoperta nel 1967 dall’archeologo ed esploratore italiano Maurizio Tosi. Nell’area sono stati ritrovati la protesi oculare più antica finora nota che è addirittura decorata e alcuni crani che presentano indizi di attività chirurgica.
Negli ultimi anni, nella lista dei siti unesco dell’Iran è stato poi aggiunto Maymand, un villaggio preistorico dove alcuni degli attuali abitanti vivono ancora in case scavate a mano nella roccia, molte delle quali sono state abitate lungo un arco di 3mila anni. Nel 2015 fu inserita Susa, l’odierna Shush, dove nel 1901 venne ritrovata la pietra di diorite sulla quale era stato inciso il codice di Hammurabi. Suggestivo è poi Dasht-e Lut, un vasto deserto salato dell’Iran sudorientale, inscritto nel 2016 insieme all’antico sistema di irrigazione del qanat, una testimonianza eccezionale delle conoscenze ingegneristiche delle culture sviluppatesi nelle aree desertiche con un clima arido.
Nel 2016 è stata la volta della città antica di Yazd, capoluogo dell’omonima provincia iraniana. Qui si trova uno dei più importanti centri per il culto dello zoroastrismo, un Tempio del Fuoco che conserva un fuoco che arde ininterrottamente dall’anno 470. L’ultima aggiunta è stato quella del paesaggio archeologico Sasanide comprendente otto siti archeologici situati nel sud-est della provincia di Fars, inscritto nel 2018. Tra questi, la grotta calcarea dove si trova la statua colossale di Sapore I, creata partendo da un’enorme stalagmite lavorata in situ.
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