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Presentato al Museo di Capodimonte un nuovo cabinet per le storiche porcellane
Beni culturali
Al Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli, si è svolta una conferenza stampa di un significato particolare. Vi si avvertiva una commozione profonda, sotto un velo di malinconia, che si tentava di cancellare con il famoso detto del positivista, e pessimista, Auguste Comte, «Tout passe tout lasse tout casse. Il n’est rien et tout se remplace», suggerito, come alcuni sanno, dal rivoluzionario Nicolas de Condorcet, per il quale il tempo, nell’illusione di un magnifico futuro, va soltanto avanti (povero giovane, finirà il suo futuro in una prigione rivoluzionaria!). L’occasione ufficiale della conferenza è stata la presentazione della donazione di porcellane dell’architetto Don Aslan Sanfelice Forcella dei Duchi di Bagnoli al Museo e del progetto di realizzarvi il Cabinet delle Porcellane. Due impegni che non potranno essere realizzati con la solita cura dal direttore Sylvain Bellenger, il cui incarico è in scadenza a ottobre di quest’anno. Perciò la conferenza, in questo salone del Museo di Capodimonte, ha un’atmosfera densa di significati, di contraddizioni, di mondi cancellati e di impegni vanificati, come vuoti a perdere.
Ed è quasi il gesto dignitoso e un po’ guascone di un’improbabile sfida. Se la scadenza dell’incarico del direttore Bellenger, secondo un’ingannevole veste burocratica, è a ottobre, però, secondo accordi presi con il buon senso e la ragione, sarebbe tra 18 mesi. In tempo per completare quei progetti in programma, come la conclusione, a dicembre di quest’anno, della mostra di 60 opere del museo di Capodimonte portate, nel giugno scorso, al Louvre, con l’avallo della presenza dei presidenti Emmanuel Macron e Sergio Mattarella.
Merito di Bellenger sono state anche le mostre di Vincenzo Gemito e di Luca Giordano, che hanno avuto grande successo anche a Parigi, dando onore a Napoli e alla sua arte. E c’è stata la fortuna del presepio e della sua commercializzazione, incoraggiata soprattutto dalla mostra di Picasso a Capodimonte. Senza dire di tantissime altre iniziative, come la rivalutazione della ceramica e della porcellana, della quale abbiamo esempi nella mostra odierna.
Interessante è la storia della Real Fabbrica di Capodimonte, che sorse, prima in Italia, nella Napoli borbonica. L’oro bianco era nato in Cina ma la sua composizione era un segreto. Fin quando non venne scoperto da Johann Friedrich Bottger, il quale lo confidò ad Augusto il Forte, re di Polonia e principe elettore di Sassonia, che poté, così, fondare, nel 1710, a Meissen, la prima fabbrica di porcellana in Europa. Augusto era il nonno di Maria Amalia di Sassonia, che soggiornò nel castello di famiglia a Meissen e che, quando sposò, a 14 anni – e fu un grande amore – Carlo di Borbone, gli portò in dote alcune porcellane del luogo. Il re di Napoli e di Sicilia chiamò a raccolta gli arcanisti del suo Regno, perché ne scoprissero l’arcano segreto.
Quando Carlo, re di Napoli e di Sicilia, dovette andare in Spagna per prenderne, per questioni dinastiche, la corona, portò con sé questo segreto e i macchinari e gli esperti operai napoletani, proibendo al figlio Ferdinando di produrre la porcellana. Ma Ferdinando, dopo un po’, gli disobbedì cosicché abbiamo ora in mostra, appartenente alla donazione Sanfelice di Bagnoli, preziosissimi esempi, principalmente della Manifattura ferdinandea (1771-1806) e, in minor numero, anche di altre Manifatture come quelle caroline di Capodimonte (1743-1759), del Buen Retiro (1760-1812) e di Caserta (1757-1759).
Venerdì è stato anche presentato, già definito, il progetto del Cabinet delle Porcellane, grazie al quale saranno esposte, in 12 sale del Museo, oltre 6mila porcellane della Raccolta Borbonica, costituita, dopo l’Unità d’Italia, riunendo nel Palazzo di Capodimonte le porcellane recuperate dai Siti Reali soppressi. Il Cabinet sarà affidato alla dottoressa Angela Caròla-Perrotti, ricercatrice e autrice di testi specialistici sulle porcellane di Napoli, e a Federico Forquet, uomo poliedrico, discendente da una nota famiglia napoletana, raffinato designer di alta moda, di arredi sofisticati e di romantici giardini.
Nel frattempo, noi napoletani ci domandiamo come si potranno concludere le altre impegnative iniziative che hanno scadenza nel 2025, come potranno essere completati i lavori edilizi del museo e la successiva, acconcia collocazione delle sue opere d’arte e poi che cosa accadrà del programma della loro digitalizzazione. E la sistemazione della collezione d’arte contemporanea Lia e Marcello Rumma. E lo spazio dedicato a Mimmo Iodice. E che fine farà il master plan così bene organizzato, che attende la sua completa attuazione. Tutti progetti ideati anche grazie all’ampia visione del direttore uscente Sylvain Bellenger e che potrebbero rimanere in un limbo per chissà quanto tempo.