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Spostare il Caravaggio: perché le polemiche sulla mostra al Louvre sono inopportune
Beni culturali
Una giovane donna fasciata in un leggero yukata perlaceo, ricamato con motivi floreali cremisi, si ferma a lungo davanti alla Flagellazione di Cristo, il collo sottile leggermente proteso verso l’alto, tra le mani riposte in grembo una piccola borsa di Gucci. I carcerieri ritratti da Caravaggio, muscoli sporchi sotto gli stracci, bocche brutalmente spalancate, non restituiscono di certo lo sguardo, impegnati a legare il corpo sofferente ma anche gentile, aggraziato – in qualche modo divino – del figlio di Dio. Dietro la colonna funesta il mondo è immerso nell’oscurità. Ma la tela realizzata dal genio lombardo tra il 1607 ed il 1608 risplende, esposta nella sfarzosa, iconica Grande Galerie dell’Ala Denon del Louvre di Parigi, in prestito dal Museo e Real Bosco di Capodimonte insieme a più di 70 capolavori provenienti da Napoli, presentati anche nell’Ala Sully, nella Salle de la Chapelle e nella Salle de l’horloge. I colori del Caravaggio – che è di proprietà del FEC Fondo edifici di culto del Ministero dell’Interno e che ha concesso il prestito dell’opera – sono vividissimi, così come quelli delle altre opere, che rappresentano tutte altrettanti momenti segnanti della storia dell’arte, da Colantonio a Luca Giordano, passando per Annibale Carracci, Tiziano, Jusepe De Ribera, Guido Reni, Mattia Preti. All’inevitabile confronto, quelle altrettanto incredibili del Louvre sembrano addirittura sottotono, bisognose – è cosa nota – di una seria campagna di restauri.
Invece, i prestiti da Capodimonte, allestiti in continuità con le opere della collezione parigina ma sempre evidenziati da una grafica diversa e da apparati didascalici specifici, si notano subito e scintillano nei colori, emergono nelle forme. Perfettamente leggibili, pur senza perdere la patina del tempo, grazie al lavoro certosino e rispettoso dei nostri restauratori, molte opere sono state poi impreziosite da cornici nuove, appositamente commissionate, o antiche, per specifiche opere, acquisite per questa occasione dal Museo di Capodimonte. E per un museo italiano, anzi, precisamente, per un sito autonomo del Ministero della Cultura, si tratta di un intervento non così usuale o semplice da portare a termine nei limiti dei budget (e in questo caso, infatti, è stato fondamentale il contributo di molti mecenati e sostenitori).
“Il Louvre invita il Museo Capodimonte”, questo il titolo della mostra che, a dispetto della formula di cortese invito, in Italia ha suscitato pruriti diffusi, su più livelli e diversi argomenti. Niente di inaspettato, un’operazione così complessa si presta a tante interpretazioni che però, purtroppo, volendo forzatamente inquadrare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, spesso si radicalizzano in esternazioni poco lucide. Sbagliato, secondo una parte di commentatori e di pubblico, è far viaggiare così tante opere, per i rischi del trasporto e per lo svuotamento delle sale. La movimentazione di decine di pezzi così importanti ha certamente rappresentato una muscolare sfida organizzativa e di collaborazione museale ma anche diplomatica, da case study o da documentario, tra due istituzioni, due Ministeri (tre, considerando anche il Ministero dell’Interno per il FEC) e due Stati. Curata da Sébastien Allard, direttore del Dipartimento delle Pitture del Museo del Louvre, e da Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, con la collaborazione scientifica di Charlotte Chastel-Rousseau, Dominique Cordellier, Patrizia Piscitello, Alessandra Rullo e Carmine Romano, la mostra si svolge infatti sotto l’alto patronato di Emmanuel Macron e Sergio Mattarella, entrambi presenti all’inaugurazione.
Di certo nulla è stato lasciato al caso, a partire proprio dal trasporto e dalle sue condizioni. Controlli, studi, report, eventuali programmazioni di restauri e interventi, spesso avvengono proprio per occasioni speciali (dovrebbero essere la norma ma è necessario fare i conti la realtà museale). E questa non può che essere un’occasione speciale. Stiamo parlando pur sempre del Louvre, ca va sans dire museo per eccellenza, il più prestigioso dell’universo conosciuto – le installazioni sulla Luna non valgono -, talmente importante da essere diventato a tratti caotico, proprio ciò che un museo, per definizione, non dovrebbe essere. E quindi c’è il Museo di Capodimonte, sede di una delle collezioni più importanti d’Europa e del mondo, oltre che tra le più complete, dall’arte antica alla contemporanea, dalle arti decorative alle installazioni ambientali. E al Louvre – e a Parigi – lo sanno bene, a giudicare dal tam tam mediatico che ha accompagnato i giorni dell’apertura, oltre che dal programma di eventi paralleli alla mostra che si svolgeranno già dalle prossime settimane. Insomma, è un gran ballo da condividere per entrambe le parti, ognuna con le proprie specificità.
Gli spostamenti delle opere poi sono seguiti da esperti funzionari storici dell’arte, da curatori e restauratori, letteralmente chilometro dopo chilometro e affidati a ditte specializzate in fine arts. Per esempio, non possono viaggiare insieme opere la cui somma dei valori assicurativi superi una certa cifra. Insomma, il Caravaggio viaggia da solo, insieme ai suoi custodi e protetto da un imballaggio che esso stesso è un’opera d’arte, non certo imbarcato come bagaglio a mano su un aereo di una compagnia low cost. Paradossalmente (ma anche statisticamente) per un’opera è più pericoloso stare esposta in un museo poco custodito oppure rimanere nei depositi che viaggiare.
D’altra parte, le opere viaggiano da sempre, i loro supporti sono stati pensati apposta per andare da una parte all’altra del mondo senza troppi problemi (parliamo specialmente delle tele, non certo dei Fregi del Partenone!) e questa facilità di scambio, questa disponibilità, è una delle meraviglie di questo tipo unico di oggetti. Proprio in questi tempi di chiusure e di gelosie sarebbe bene ricordarsene.
Si è parlato poi del rischio di svuotare il museo di Capodimonte, la cui collezione comprende 49mila pezzi, la maggior parte dei quali necessariamente non esposti, e che nei prossimi mesi sarà interessato da lavori di adeguamento degli spazi e degli impianti ma non chiuderà del tutto. E non avrebbe alcun motivo per farlo: l’occasione è propizia per mostrare al pubblico altre opere custodite nei depositi. Tra alcuni mesi, tra settembre 2023 e gennaio 2024, tutti i capolavori torneranno dal Louvre a Napoli e allora si ricreerà il problema di dover “nascondere” nuovamente le altre opere nei depositi. A quel punto si potrebbe fare un passaggio successivo e progettare un’esposizione di alcune di queste in altri siti della città o della Regione. Non sarà di certo la Flagellazione di Cristo ad andare nel pur bello, prezioso e suggestivo Museo archeologico nazionale del Sannio Caudino, Montesarchio, provincia di Benevento. Per esporre opere del genere c’è bisogno di rispettare anche standard che non tutti i musei – e i Comuni – possono garantire, in quanto a sicurezza, accessibilità e fruibilità.
Sono stati quindi compianti anche i turisti, come se a Napoli ci fosse bisogno di attirarne altri. I tanti, troppi, che hanno preso d’assalto le pizzerie fritte negli anni post covid, rimarranno delusi dal non vedere il loro bel Caravaggio? Forse sì, ma potranno sempre consolarsi dai facili mal di pancia e consumare qualche caloria con una corroborante passeggiata nell’attiguo Real Bosco di Capodimonte, magari programmando una seconda venuta in città, quando le opere torneranno al Museo, tra l’autunno e l’inverno. Quando fa meno caldo e si respira meglio.
Dovrebbero essere mandate fuori sede solo le opere dei depositi, non i Caravaggio
Avete voluto i direttori stranieri? Eccoveli serviti …Ovvio che Bellenger, francese, faccia lavori di squadra a favore del Louvre, non certo del sistema museale italiano ….