Sembra un paradosso. Cercare le proprie radici lontano dai luoghi che ci appartengono. Eppure Fred Wilson trova viaggiando una parte di sé. A Venezia prende spunto dalla storia per trattare un tema che lo tocca da vicino: la condizione dei neri.
Nato nel Bronx, Wilson ha radici africane e caraibiche. Non potevano passare inosservate sotto i suoi occhi le figure dei mori che popolano i quadri della tradizione veneziana, dal Cinquecento al Settecento. La città ha per lungo tempo contato sulla forza di uomini provenienti da terre lontane; l’artista americano ce la racconta. Partendo dall’analisi del contesto in cui si trova ad operare, riesce a focalizzare su un tema centrale anche per la sua identità.
Wilson riproduce particolari di pitture e statue in vetro per porre l’attenzione su chi era stato finora poco più che comparsa. C’è chi ha definito l’operazione banale, ma uno sguardo attento alla poetica dell’artista svela la coerenza con la sua ricerca degli anni passati. L’analisi delle collezioni di arte antica è da sempre un suo strumento pungente: studiare e riproporre sotto nuova veste gli allestimenti museali e il loro potenziale comunicativo gli permette di giocare con il
Oggi Fred Wilson crea un parallelo stringente tra i mori del passato e gli extracomunitari del 2003. Nel pannello che abbraccia la parete di fondo dell’ultima stanza, i volti di Veronese sono accostati alle foto degli immigrati che vivono adesso tra calli e campielli. L’artista ripropone incunaboli e stampe in cui i neri segnano la loro utilissima presenza. Documenta una storia fatta di persone, racconta le vite di alcune di loro, il legame con i padroni o le ribellioni.
Con capacità evocativa Wilson domina lo spazio del Padiglione, riempiendolo. Soprattutto opere in vetro, che ricalcano la tradizione di Murano. Rappresentazioni kitsch che nell’insieme creano un ambiente da period room. Del resto, l’artista riesce a staccarsi dalla filologia per trasformarla in gocciolante astrazione (Drip drop plop). Il contrasto con l’architettura del Padiglione americano è inevitabile: la crescita di una selva di opere su piedistalli e pareti soffoca la neutralità neoclassica di Delano & Aldrich che costruirono nel 1930 l’edificio.
silvia bottinelli
visitato il 14 giugno 2003
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