Qual’è l’attuale situazione dell’arte africana? Secondo il curatore Gilane Tawadros, la metafora geologica degli smottamenti terrestri assume la doppia valenza di frattura e continuità, tra periodiche rotture e repentini assestamenti.
Forte l’impronta ideologica e la tematica sociale dei lavori in mostra, meno diretto il messaggio politico che si risolve in tanti interventi dissonanti e una certa confusione espositiva, accentuata da una pannellatura bianca che ha reso meno suggestivo uno degli spazi più belli della Biennale.
Le grandi ‘mappe pittoriche’ di Frank Bowling, pur ammiccando all’Informale ed ai campi cromatici di Rotko, traggono dalla propria esperienza africana le radici più autentiche. Forte la presenza della pittura. Dalla videoinstallazione di Moshekwa
Rotimi Fani-Kayode e Zarina Bhimji utilizzano in modo diverso il mezzo fotografico, il primo, rifacendosi ad una messinscena scura e barocca (alla Serrano), insistendo su un erotismo sostenuto dagli elementi ancestrali della propria cultura d’origine e l’altra attraverso le trasparenze del light-box, con immagini fotografiche intense e desolanti in cui l’assenza dell’uomo lascia le sue tracce negli oggetti. Kader Attia è presente con un doppio intervento: dal distributore di oggetti ai più interessanti ritratti fotografici che riprendono momenti intimi e brevi attimi di vulnerabilità di travestiti e transessuali magrebini che vivono a Parigi.
La città congestionata e sovraccarica costituisce l’orizzonte aberrante ma incisivo dell’Asphalt Quartier di Wael Shawky mentre quella solare e orientaleggiante è proposta negli scatti dell’architetto egiziano Hassan Fathy. Il video di Sabah Naim, dai tempi dilatati e con un poetico bianco nero percorso da graffiature cromatiche, rielabora tratti di strade mediorientali brulicanti di vita, di passaggi ininterrotti cui si alternano immagini di singole individualità che il colore isola e sottolinea, di sotterranei metropolitani dove il treno scorre con porte che si aprono in successione accompagnate da un ritmo lento e ipnotico. Altra videoproiezione su tre schermi di Salem Mekuria dallo stile deciso e documentario fino alla videoinstallazione
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dear ....,
i agree with your opinion. and i liked hou hanru more.i liked superflex, they could be probably good curators. Or santiago sierra which probably did the only possible thing even if looks like an easy solution probably.
And about the stars of the biennale….
i believe that the age of tiravanja, obrist, etc, is finished.
they are out already.
they shown us that what they can do rotates always around the same things, themes, and is made of the same group of people, almost like there are no new interesting people in the world.
they've shown us how we should not work anymmore.
a big circus about utopia (old utopia not new utopia),
a circus and not a process that was what they probably wanted to reach.
and they are pretentious. the yuppies of the art system.
people hanging around with their handy.
and i couldn't believe it.
i believe in real new energies, new structures and new ways to relate to public and any level of people.
i've never believed in intellectual art that is art for few.
or art that pretend to be intellectual but in the end it can't even reach that point.
i don't believe in faked open systems, and artists or curators pretending to be open and holding tight to national pavillions, famous artists, old concepts.
i don't believe in people using young artists just to fill some gaps that they 're too busy to fill (see multiplicity), without even give them the sadisfaction of being in the catalogue or to be paid (which in italy seems still an incredible thing). the same groups still presenting the same things everywhere, in the same way. do they know what people think while they visit the exhibtion?
do they know that what they do is not understandable for many people?
I think there is still a lot of work to do about openess, relations, network, and so on….