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Tilt Biennale
biennale 2003
Cronache dai tre giorni di preview-stampa. Caldo torrido, code ovunque, prezzi pazzi. E disorganizzazione. La stampa affronta un caos mai visto prima. A cominciare dalle procedure macchinose per ritirare un pass, fino alla ricerca vana di una toilette. Ma anche Venezia non aiuta. Difficoltà per mangiare, bere, svagarsi. Per non parlare dei fantomatici party serali…
E per fortuna che il fascino di Venezia non è in discussione. Altrimenti quest’anno c’era da rimpiangere di non essere rimasti a casa. Altro che vernissage della Biennale. Per i giornalisti, ai quali sarebbe teoricamente riservata la tre giorni di preview, è toccato sopportare di tutto, in un contesto di caos organizzativo senza precedenti.
I disagi sono cominciati dalle file chilometriche davanti all’ufficio stampa per ritirare il pass, da barattare con un cartoncino ricevuto a domicilio, procedura –è del tutto evidente- completamente inutile. Tanto che, a due ore dall’apertura, la situazione sull’orlo della rissa ha costretto l’organizzazione ad eliminare la macchinosa procedura, invitando i giornalisti ad entrare con il cartoncino già in loro possesso. Per non parlare della fila “riservata” ai giornalisti stranieri (quest’anno assai più numerosi), un cordone di tre chilometri dove venivano lasciati sotto il sole anche i colleghi handicappati! Ovviamente dopo un giorno e mezzo le cartelle stampa ed i cd con le immagini erano esauriti. Ed alla domanda “Posso comunque fare degli scatti con la mia digitale?” l’ufficio stampa non sapeva dare una risposta.
La sala computer ha aperto le porte la mattina del 12, una mezz’ora dopo l’orario stabilito. Scene di ordinaria follia all’esterno dell’Arsenale, dove un giornalista americano tentava invano di forzare il blocco di due guardiani veneti e muscolosi.
Una volta dentro tutto bene? Manco per sogno. Impossibile trovare una toilette in tutta la Biennale.“Non sono ancora state montate”, sibila un inserviente, e quelle che ci sono fanno venire la voglia di… farla in mare.
E se con quaranta gradi all’ombra non venga in mente di bere qualcosa! In tutti i (pochissimi) punti di ristoro (presi in monopolio dalla stessa ditta) i prezzi sono da sciacalli patentati (4,5 € per una pepsi piccola, 2,50 € per mezzo litro d’acqua calda). Rarissimi e risicati i buffet dei padiglioni nazionali (alcuni addirittura solo ad inviti, come quello dei Paesi Nordici o quello della Germania), in un clima di neo-austerity che, forse, paga lo scotto all’insistente crisi economica.
Ma passiamo alle mostre. Calde, caldissime, roventi. E stracolme, specie da venerdì in poi. Sale video infrequentabili, fila fuori ai padiglioni con l’aria condizionata. Tappa fissa nell’installazione di Micol Assael (che almeno asciugava i vestiti fradici) e alla piscinetta di fronte al padiglione Venezia, per fare un pediluvio in mezzo ai rospetti.
Ma quanti saranno mai i giornalisti? E infatti ci sono famigliole, gruppi di gitanti, gente capitata per caso. Risultato: spazi affollatissimi, code chilometriche, impossibilità di concentrarsi e, in definitiva, di lavorare. La soluzione potrebbe essere quella di portarsi qualche cosa in albergo (approposito, sorvoliamo sul prezzo di una stanza che è meglio…) ma ecco l’ennesima novità di questa cinquantesima Biennale. I cataloghi sono quasi tutti a pagamento. Gli addetti dei padiglioni guardano con sdegno e schifo il pezzente giornalista che chiede materiale per scrivere l’articolo. Sappiamo di colleghi che per portarsi a casa, giustamente, tutta la documentazione delle varie mostre hanno speso poco meno di 500 euro! D’altronde poco meno si deve esborsare per spostarsi in città. Le corse in vaporetto costano 5 euro l’una: fate un po’ i conti…
Scende la sera , il caldo non accenna a diminuire. Cominciano a circolare incontrollate le voci sulle feste. Si parla di party ovunque, organizzati da Lisson, da Deitch, da Gagosian. Qualcuno si è fatto dodici fermate di vaporetto per andare al ricevimento di Leo Castelli!
A parte le bufale e le leggende metropolitane, qualche festicciola c’è davvero. Ma per gli addetti ai lavori la speranza di svagarsi un po’ dopo una lunga e caldissima giornata di lavoro. Anche lì c’è da sfoderare cartellini, corrompere il buttafuori, affrontare code e spintoni e persino entrare a turni (per questioni di sicurezza, ci dicono). E si perché i giorni di opening della Biennale dovrebbero veder girare per Venezia solo giornalisti e critici d’arte. In realtà la laguna si popola di ogni tipologia di varia umanità con il risultato di mandare in tilt la città. E la verità è che esiste una consistente fetta di questa umanità che passa la giornata a cercare i biglietti per le feste.
Ma non è solo l’organizzazione della Biennale a dimostrare ostilità verso il popolo del vernissage, anche la città stessa ce la mette tutta per risultare scomoda, invivibile e inospitale.
La parola d’ordine degli esercenti è “lo abbiamo finito!” . Tutto finisce in questa città che ha milioni di turisti ma che fa scorte di merci per i suoi pochi residenti. E’ addirittura impossibile recuperare una copia di La Repubblica alle 11 del mattino attorno ai Giardini. Per chi volesse cenare le nove e mezza di sera sono già un orario in cui è molto meglio rinunciare. Verso le undici le possibilità di mettere qualcosa sotto i denti si riducono a un gelato in Campo S. Margherita o due spaghi a casa di un amico veneziano.
I ristoratori e i negozianti vivono la Biennale come una sorta di assalto e evidentemente temono la clientela. Abbiamo visto verificarsi alcuni eventi paranormali. Bar che esauriscono il ghiaccio in piena serata e servono solo birre calde; pub che alle 11 non hanno più cibo di alcun genere, trattorie che si rifiutano di cucinare pietanze già ordinate; camerieri in grado di ignorare le richieste di un cliente che gli parla a distanza ravvicinata per oltre 45 minuti. Attorno a San Giacomo dell’Orio è addirittura necessario essere raccomandati da qualche locale per avere una bottiglia di Beck’s. C’è addirittura chi giura di aver visto Godzilla sorseggiare un drink all’Harry’s Bar…
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[exibart]
E’ assolutamente, dico assolutamente, tutto indiscutibilmente VERO. La mia ammirazione a chi, come me e lo dico con un certo orgoglio, ha resistito. So di gente che è rimasta vittima di coccoloni vari…saluti.
anche io mi associo. faceva caldissimo e l’oraganizzazione era inesistente….però noi ci siamo divertite, vero paola?????
Meglio di così non si poteva descrivere la situazione caotica di un evento come la Biennale che tutto il mondo aspetta. A parte giudizi sulle mostre, l’organizzazione ha fatto acqua da tutti i punti di vista. ciao
ma possibile che nessuno si sia ancora chiesto di chi siano le tette della foto??? Dai che non è difficile.
Certo che le due di cui sopra si sono divertite…loro hanno colto l’attimo e il party giusto&rilassante…mica come qualche altro che non è venuto e ci ha tirato il pacco, vero diretùr? Comunque concordo su tutto, cari Biennalisti se vi aspettate tanta gente sappiatevi regolare con contromisure adatte, fra le quali l’acqua (sia quella da immettere che quella da espellere nei/dai nostri poveri corpi) è cosa fondamentale! e chi vive in una città d’acqua come Venise dovrebbe perlomeno immaginarlo…
davvero realistico… io povero ragazzo semplice (leggi con voce tremolante) al vernissage stampa per la prima volta, stavo per rinunciare a tutto fin dalle 2 (2!) ore di fila all’accredito… concordo particolarmente sul Non Poter lavorare. Ma non sarebbe dovuta essere un’occasione per gli addetti ai lavori? ..La mia unica certezzza , ora, é quella di dover tornare a VEenezia per forza, visto che molte cose non sono riuscito a vederle e moltissime altre le ho viste male o malissimo. sob.