Se la disobbedienza a volte è un limite, Mars Pavilion l’ha superato. Serra occupata, Padiglione indipendente, Contro-Biennale: lo spazio appena all’ingresso dei Giardini in stato di abbandono da circa vent’anni ha assunto i nomi più diversi, richiamando l’attenzione generale.
Certo vi sono differenti motivazioni: se la stampa ne ha voluto enfatizzare l’aspetto politico, il pubblico della Biennale ha visitato questi spazi con la stessa curiosità ed attenzione riservate agli altri Padiglioni nazionali. Qualcuno si è anche prodigato in complimenti e rassicurazioni, come Renato Quaglia, Direttore Amministrativo della Biennale di Venezia. Sì, perché il Mars. non è mai stato al centro dell’attenzione di forze dell’ordine o comitati di benpensanti, nonostante un’Italia dal senso del pudore ormai ipertrofico…
Le motivazioni di questa positiva reazione sono molte, e vanno forse ricercate, per una volta, nella qualità e nella varietà dei lavori proposti dai curatori: Marco Baravalle, Interno 3 e Andrea Morucchio (in collaborazione con C.S. Morion e Global Project) hanno infatti allestito, negli spazi parzialmente recuperati della Serra e nel giardino tutto attorno, una vera e propria panoramica internazionale. Eccone una stringatissima top five:
I “politici”
The sweetest dream, dell’artista croato Nemanja Cvijanovic, apre e squarcia le coscienze: la classica bandiera blu dell’Unione Europea assume tutt’altra valenza, le stelline gialle vengono a formare una svastica nazi. Uno spunto forte che non ha mancato di sollevare, più che polemiche, discussioni e confronti. Interno 3 trae spunto da un video reperito in internet delle famose esecuzioni ad opera di terroristi islamici, riproponendo un’immagine sgranata e virata in rosso, Iperred, dove i gesti lenti del macabro rito assumono una dimensione di ieratica irrealtà.
Il “concettuale”
Stranieri ovunque è il titolo dell’installazione del collettivo francese Claire Fontaine, una scritta al neon tra Kosuth e Flavin, il cui afflato supera confini geografici quanto politici: tradotta in diverse lingue “minori” -dall’arabo al curdo all’ebraico- la scritta campeggerà, di volta in volta, in diverse città del mondo tra cui New York.
Gli “scandalosi”
Abajo Izquierdo ha proposto il progetto 200 veneziane/i nudi, un lavoro in progress che vuole riflettere sul senso di appartenenza: se i veri veneziani sono ormai invisibili, fagocitati da una carambola di party, eventi/avvenimenti e turisti, ecco che 200 volontari verranno spogliati, fotografati e dipinti, in luoghi poco consueti della città: la mimetica pittura farà scomparire poi i loro corpi lungo muri e calli.
All’attacco invece le inquietanti creature dei Lupandi of Mutoid Waste Company che, giunti al Padiglione U.S.A., hanno attirato l’attenzione del pubblico ben più degli statici dipinti di Ed Ruscha.
E poi lavori di Contin, Rosso, Palmarin, sound sets (Fantasmagramma, Mugen, egØ, Madriema), performance, happening, reading (tra cui la presenza di Gilberto Gil). Situazioni ed atmosfere che oltre a documentare l’arte hanno offerto la possibilità di entrare a farne parte, forse più dei mille contorti e algidi progetti speciali del “fuori-Biennale”.
saramicol viscardi
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