L’anno scorso aveva vinto il Leone d’oro come miglior padiglione. Quest’anno il Lussemburgo è di nuovo una delle rivelazioni. Antoine Prum, artista e filmmaker, ha confezionato un gioiello cinematografico. Che sbeffeggia con acume il mondo dell’arte. Si chiama Mondo Veneziano ed è un mediometraggio digitale trasferito in pellicola. L’ambientazione? Venezia, naturalmente. Ma in realtà si tratta di un enorme set costruito nel 2001 in Lussemburgo, poi abbandonato. Il mondo di Prum altro non è che un’insospettabile fiction. Canali, gondole, palazzi settecenteschi, calli e campielli. Tutto finto. L’artista, di fronte all’incredibile città fantasma, ha una rivelazione: era quello il posto giusto per il suo progetto visionario. L’imitazione di un’architettura in mezzo all’acqua. Niente di più precario.
E poi i quattro personaggi, ognuno col suo clichè perfettamente cucito addosso. Il cast riassume il teatrino dell’art system: il Pittore, giubbotto di pelle borchiato, stivali da cowboy e animo ribelle-romantico; il Teorico, smilzo, occhialini, genio pallido e sfigato; la Curatrice, severa, ossuta, appeal lesbo-femminista, look minimale; l’ Artista conviviale, nuova figura legata all’estetica relazionale, aspetto casual da intellettuale “organico” in salsa sociologico-mediatica.
L’incipit è nel segno dell’inganno. I quattro sono dentro a un make-up bus, quelli in cui si truccano gli attori. Ma non è un backstage. Stanno già recitando, parlano con le battute di un copione. Dove comincia il vero e dove finisce il falso? Non c’è narrazione, nessun filo logico, ma una netta scissione stilistica: il film passa da un genere intellettuale di stampo nordeuropeo, infarcito di dialoghi teorici sull’arte, alla violenza splatter del b-movie americano. Mantenendo un’elegante atmosfera sospesa, congelata nell’ironia tagliente di fondo. Di giorno, affacciati sul canale, seduti in un cortile o stipati in un cascina, si fronteggiano a colpi di monologhi, recitando, con fare enfatico, estratti di importanti saggi: estetica, politica culturale, strategie di curatela e comunicazione. Un sampling teorico-letterario per dare vita a una partitura ibrida, tra spirito postmodern e decostruzione. E poi, di notte, la metamorfosi surreale. Da raffinati intellettuali a mostruosi killer. L’alternanza da una situazione all’altra crea uno stato di follia lucida: è tutto misurato, contenuto, perfetto. Compreso l’occhio del teorico, martoriato a picconate dal pittore; o le budella della curatrice, stesa su un tavolo operatorio sotto le grinfie dell’artista; o la crocifissione del pittore, appeso al cancello di una villa hitchcockiana, in una notte sinistra senza luna.
Si, perchè sono sempre loro a interpretare le scene: dopo averli visti declamare testi ipercolti, li troviamo in raccapriccianti pièce. Ci vuole stomaco, insomma.
Il gap tra teoria e prassi dell’arte contemporanea è il filo conduttore di tutto lo show. Un circo degli opposti, una lotta intestina tra l’azione creativa immediata e i contraddittori sistemi di pensiero. E pare divertirsi davvero Prum, sagace e beffardo, a prendere di mira questa scellerata giostra dell’arte…
helga marsala
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