Cinquantunesima Biennale dell’arte. Grande assente, inutile dirlo, l’arte italiana. O meglio, l’identità culturale nostrana. Allusa, cercata con la lente d’ingrandimento, suggerita in sporadici indizi, quasi impronte digitali lasciate lì, forse per distrazione. Come nel titolo di Rosa Martinez, Sempre un po’ più lontano, mutuato dalle tavole di Hugo Pratt, o tra le sparute presenze artistiche dal Bel Paese. Nessuna volontà di riaprire qui la macchietta delle agitazioni provocate dalla mancanza dell’agognato Padiglione Italia -che hanno popolato le giornate veneziane di folli incarogniti, sagaci slogan di protesta, selvagge manifestazioni No-Global- né di avvallare la retorica buttiglionesca sul provincialismo italiano e la necessità di trovare curatori che conoscano la nostra tradizione. Fino al pullulare di vere e proprie secessioni indigene alternative minacciate ad ogni piè sospinto dagli autogrill di tutta Italia, con un riscoperto, quasi commovente nazionalismo, estraibile a mo di asso al momento più opportuno.
Ma alcune considerazioni di certo vanno fatte. A partire dalle presenze artistiche indigene, talvolta vaghe ed impersonali. Fino a scomparire sotto il peso delle scelte cosmopolite di Rosa Martinez, che ha limitato negli Arsenali la partecipazione italica al lirismo nazionalpopolare tutto al femminile di Bruna Esposito con Precipitazioni sparse, marmo fresco con cipolle, e il pendolante Perla a Piombo.
All’andirivieni scenografico del tableux vivant orchestrato da Micol Assael, con nostalgia folk verso certo pantheon di stereotipi dell’arte, nell’assegnare all’iconografia pseudo romantica del predicatore leggente – scalpo e camicia canuti, posto strategicamente su un ballatoio a quote vertiginose, il ruolo di vate. Restituendo all’artista, seppur confinato dalla società in uno spazio angusto, l’aura, lo spleen, la capacità di innalzarsi.
Più felici i vagli di Maria De Corral, con i due interventi di Monica Bonvicini, Minimal Romantik, un’installazione site specific nei Giardini che, alludendo alla pittura di Caspar Friederich, costruisce progressivamente -con tanto di operai a lavoro nelle giornate di vernissage- stralci di catene montuose, continuando, all’ingresso del Padiglione Italia con il meno interessante demolitore a ripetizione, appeso al soffitto e funzionante ad intervalli programmati, creando una situazione di cortocircuito e straniamento nel riguardante, sorpreso dall’accendersi improvviso, quasi impazzito, persino violento dell’oggetto dapprima inerte. Spensierato, l’unico davvero internazionale, perla tra gli Italiani, ma non solo, il Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula diretto, con il linguaggio e le tecniche dei colossal americani, da Francesco Vezzoli. Turbinio kitsch di perversioni, lussurie, voyeurismo, Caligula, con un profondo sense of humor, ironizza sulle attuali strategie mediatiche, seppur cercando di preservare i ricordi di una tradizione cinematografica ormai trascorsa.
Ma non finisce qui. Il Padiglione Venezia apre al premio Darc per la giovane arte contemporanea, toppa sulle carenze nostrane.
Al dire il vero un po’ raffazzonata, con le bimbe di Carol Raquel Antich, debitrici della quasi papale indulgenza biennalesca, o la roulotte vestita di primavera da Loris Cecchini. Ma che si salva in calcio d’angolo grazie alle visioni lunari in bianco e nero del video di Lara Favaretto, vincitrice del premio, e all’antro, spiabile da una finestrella, concertato, come in un interno di Allan Poe, da Manfredi Beninati. Che fa tirare un sospiro di sollievo purtroppo non duraturo. Basta tornare all’ingresso ed assistere sconsolati al varo del monolite tecnologico di Fabrizio Plessi per ricominciare a riflettere sulla situazione italiana contemporanea. Non è credibile che gli artisti dello Stivale si siano, di punto in bianco infiacchiti, che siano scomparse intelligenze tali da essere portate a Venezia. Il punto è un altro. E’ un’emergenza, questa, che ha le sue radici più profonde nel sistema, con tutte le sfumature politiche del caso. Insomma, tornando a bomba, ce la siamo, ancora una volta, cercata. Perché, parafrasando il gingle veneziano dell’estate ordito nel Padiglione tedesco da Tino Seghal, This is so (not) contemporary…
santa nastro
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Ma stiamo scherzando? Gli Italiani non sono un popolo di artisti? Faccio solo un pallido esempio: In Sardegna, regione non tantissimo popolata, di artisti pittori ne esistono 7.000, scultori 10.000! Daccordo, non saranno tutti da biennale ma è solo un esempio.
Cordialmente
Artist, Art Director ......
non e' contemporanea la presenza italiana?
Rosa Martines si dovrebbe informare prima di fare della biennale una fiera dell'arte di salotto e borghesuccia.
Vogliamo alla biennale gli artisti che scatenano emozioni alle nuove generazioni.
vai alla biennale e trovi arte innocua daccordissimo con c.a.s.a. per fortuna si torna a casa ed accendendo la tv trovo blob.
che immane tristezza gli italiani della laguna.
Ma perche ' con tutto quello che succede in italia che farebbe tremare la terra si scelgono sempre gli insipidi nostrani a rappresentare il " bel Paese" .
Vogliamo alla biennale artisti con le suddette ed evidenti Palle e non cantastorie da salottino.
Simpatico Vezzoli tremendo Beninati... anzi direi innocuo.
be!!!
che dire manfredi o beninati manfredi
io direi nessuno dei due....
ma che c'è stai a fà arrepigliati
beninati fa tristezza ma la "cosa" di plessi costata molti soldini fa veramente vomitare.
siciliani non prendetevela anche i veneziani fanno schifezze .
il pavillon iraniano poi e' da fiera della provola.
quest' anno nella biennale di venezia hanno la peggio i padiglioni venezia con gli italiani.
: il video della favaretto risulta "simpatico" .
: beninati innocuo.
: cecchini banale .
: antich orribile .
: plessi inutile e costoso.
: vezzoli salva la magra figura italiana.
(il padiglione americano) .
buono il padiglione germania.
etc. etc.
mah!
it's shit!