La Biennale dei padiglioni nazionali è dominata dai giganti. Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Germania, Spagna monopolizzano la scena, nel bene e nel male, focalizzando l’attenzione su di sé. Sono loro i grandi paesi dell’arte, i grandi padiglioni che “fanno la Biennale”, lasciando alle altre partecipazioni le briciole, e spesso nemmeno quelle nei resoconti sui giornali. Eppure, anche all’ombra dei giganti possono trovarsi realtà interessanti. E proprio il profilo più basso può rivelarsi un’occasione per esplorare le possibilità e sulla funzione dei padiglioni nazionali. Nel cuore dell’Europa, Belgio, Olanda e Lussemburgo danno una reinterpretazione della forma “padiglione”, mettendola in dialogo con Venezia, sviluppando la dimensione nazionale dello spazio espositivo e “ampliandolo” con differenti strategie.
Nel padiglione belga viene messo in scena un labirinto. Il Palais des Glaces et de la Découverte rappresenta una metafora del groviglio di calli veneziane e di quello ancor più intricato della conoscenza. Al suo interno, in un labirinto di specchi, sono inseriti dei video che ripropongono le performance che Eric Duyckaerts (Liège, 1953) ha svolto nel corso dell’anno tra la Francia, il Belgio e gli Stati Uniti. Una sorta di allargamento dello spazio e della durata della Biennale, situandosi autonomi e paralleli al progetto presentato e non soltanto come preparazione di esso. Nelle sue lezioni-performance l’artista belga mette in scena la figura dell’impostore intellettuale in grado di tessere con il filo del discorso, al contrario del filo di Arianna, labirinti di parole, che vivono il paradosso della verosimiglianza, in cui vero e falso sono opposti che si uniscono e confondono.
L’Olanda ha trattato lo spazio del padiglione non come un indifferente luogo espositivo, ma cercando di approfondirne la natura “nazionale”, indagando la situazione olandese come esemplificazione della condizione occidentale. Citiziens and Subjects è un progetto di tre parti, in cui l’opera esposta diventa un singolo momento accanto ai saggi raccolti nel catalogo e all’“estensione” che si terrà nel prossimo autunno in Olanda con una serie di conferenze e dibattiti. All’interno del padiglione, in un ambiente con elementi a metà tra il carcere e il centro d’accoglienza, sono presentate tre installazioni video multicanale di Arnout Mik (Groningen, 1962), che mettono in scena, mescolando fiction e realtà, esercitazioni e interventi della polizia olandese in caso di disordini, per riflettere sul controllo della violenza da parte degli stati-nazione e sul paradosso di una sicurezza che può essere mantenuta soltanto generando inquietudine e paura.
Il padiglione lussemburghese è stato trasformato in un luogo senza tempo né spazio. Jill Mercedes (Saarbrücken, 1964) ha costruito nella Cà del Duca un ambiente in cui possa realizzarsi una sovrapposizione tra i ricordi e le emozioni dei visitatori. Il corridoio e le quattro stanze di Endless Lust combinano suoni, arredi minimali e suggestioni esotiche, dando vita allo scenario di un viaggio nella coscienza e nella memoria dello spettatore, in grado di scatenare in ciascuno degli déjà vu emotivi. L’interno dello spazio dialoga con Venezia, pur nascondendola, lasciando filtrare attraverso i serramenti riflessi della luce sull’acqua del canal Grande e i suoni provenienti dall’esterno, in modo da prolungare la suggestione anche al di fuori del padiglione e facendo così entrare nella Serenissima ciò che ormai le manca: la possibilità del pericolo, l’avventura, il desiderio.
L’interesse dei “piccoli” non si trova soltanto nelle riflessioni sulla forma o sulle possibilità dei padiglioni nazionali, ma anche nella qualità e nello spessore delle opere esposte, come nel caso del padiglione danese. I dipinti di Troels Wörsel (Aarhus, 1950) sono dipinti sulla pittura e sul dipingere. Nei suoi quadri dalle forti intensità, tra influssi pop e concettuali, viene rappresentata la rappresentazione. Si ritrovano figure e inserti di lettere e nomi di luoghi accanto a chiazze di colore che sono ritratti delle pennellate, rovesci delle tele che rappresentano il loro davanti e in cui il telaio da una qualità sculturale alla pittura e persino il colore, inconsuetamente protagonista in tutti i quadri esposti, viene utilizzato per rinviare ad altro. Opere che sono una dichiarazione d’amore alla pittura, un continuo dialogo con essa e un’indagine sui suoi confini, nella convinzione che i quadri abbiano sempre un significato, impossibile da eliminare.
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Il servizio di Exibart.tv sui padiglioni nazionali
stefano mazzoni
[exibart]
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