Categorie: biennale 2007

biennale_padiglioni | La via latina

di - 31 Agosto 2007

Ogni volta ci si pone la stessa domanda, ovvero se la Biennale sia o no lo specchio di quello che realmente succede, al momento, nell’arte mondiale. In riferimento ai Padiglioni latinoamericani questa questione appare, al solito, retorica. Come è possibile che un continente intero, con tanto fervore artistico e spinta dirompente si presenti a Venezia come completamente scollato dalla sua realtà operativa?
La verità è che le scelte dei Padiglioni sono affidate alle istituzioni e, in un continente che ancora risente delle castrazioni del passato, spesso questo segna un forte gap tra le proposte ufficiali e l’azione sul territorio.
Spesso si tratta di una specifica volontà più politica che artistica o strettamente di mercato come d’altronde accade di frequente per la maggior parte degli altri paesi. Probabilmente la risposta è nelle maglie della burocrazia o, talvolta, nella politica culturale di Stato. Questo appare, ad esempio, nel caso del Padiglione del Venezuela, che negli ultimi anni è stato specchio dei cambiamenti del Paese. Nel 2003 in extremis rifiutò il progetto di Pedro Morales, nel 2005 propose una retrospettiva del grafico cartellonista Santiago Pol ed oggi, sulla scia del recupero della identità india a cui più volte ha fatto riferimento il Presidente Hugo Chavez –promotore di una unitarietà bolivariana del Latino America– presenta le immagini etnografiche di Antonio Briceño. Il progetto, infatti, è una mappa del Centro e Sud America attraverso i volti degli abitanti indigeni, ritratti sulla propria terra. Di certo è lontano dalle istanze del contemporaneo ma, letto alla luce del percorso politico del paese, contribuisce a tracciare il profilo ufficiale di un continente dalla crescente volontà di darsi voce attraverso la sua immagine originaria. Insieme a Briceño è presente il gruppo V+F che, con una conferenza sul web, sviluppa un programma quasi propagandistico più che un progetto relazionale, almeno per quanto ascoltato nel corso della nostra visita al Padiglione.

Più addentro allo spirito critico e di denuncia, sono le opere esposte nel Padiglione dell’IILA -Istituto Italo Latino Americano- che declina il concetto di Territorios nelle sue molteplici sfaccettature, geografiche, storiche, identitarie, sociali o intime, come nel caso di Ronald Moran che, nell’ovattato regno di un bimbo, guarda ai segni della violenza traslata dai mitra giocattolo sparsi nella cameretta. Emergono giovani artisti come la cilena Monica Bengoa e alcune opere suggestive quali l’incisivo Hago mio éste territorio di Manuela Ribadeneira e l’istallazione S/T (Biblioteca blanca) del cubano Wilfredo Prieto, silente attacco all’appiattimento culturale che, al contempo, richiama alla mente la denuncia civica che passa proprio per la redazione del cosiddetto libro bianco.
Più tradizionali sono il Padiglione argentino e quello dell’Uruguay. Il primo propone la pittura dal sapore cubista di Guillermo Kuitca, il secondo un’istallazione di Ernesto Vila che tenta l’elaborazione di una nuova iconografia, attraverso il recupero e la trasfigurazione dei rifiuti della cultura cittadina.
Sicuramente gli artisti di più ampia eco sono nel Padiglione brasiliano e in quello messicano. Il Brasile presenta le nitide riflessioni di José Damasceno, insieme ad Angela Detanico & Rafael Lain. Ma la vera sorpresa di questa Biennale è il debutto del Messico con Rafael Lozano-Hemmer. Il Padiglione si sviluppa attraversando la sua opera, dalle istallazioni interattive alla documentazione degli interventi di arte pubblica senza, però, alcun cedimento didascalico.

Al contrario, nella fascinazione della sperimentazione diretta, il visitatore è coinvolto al punto di attivare maggiormente la ricerca dell’artista. Accade con Frequency and Volume, lavoro dedicato al controllo, che sottopone il visitatore ad una forma di osservazione dei suoi movimenti captati da un sistema di onde radio. Una violazione d’intimità che – guarda caso – crea un meccanismo di curiosità.

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