Sul pianerottolo dello scalone d’accesso al primo piano, una delle opere più significative e tema ricorrente di
Bernardí Roig (Palma de Mallorca, 1965; vive a Madrid e Binissalem):
L’uomo della luce. La curva figura a grandezza naturale, bianca, dà inizio al percorso espositivo. Come tutte le sculture dell’artista spagnolo, è realizzata – sulla scia di
George Segal – da calchi di persone reali. Sulle spalle ha il peso di un fascio di neon.
Ravvisabile in essa la metafora del Lucifero gnostico, colui che ha indotto l’uomo alla conoscenza, la
scientia boni et mali, ribellandosi a Dio. Al tempo stesso, l’illuminazione troppo violenta che costringe i soggetti di Roig – e noi stessi – a tenere gli occhi serrati, “
acceca e satura lo sguardo e dunque non fa che aumentare la portata della nostra cecità”, scrive Demetrio Paparoni.
Sempre sul tema del guardare,
Antónfrozen, “la scultura frigorifero” con un marchingegno che crea l’effetto finale di uno pseudo-orante sudato per la fatica di sostenere lo sguardo dell’uomo ritratto, di fronte.
Diana y Acteón, connesso al mito classico delle metamorfosi, è un lavoro fondamentale per la comprensione del progetto: Atteone (colui che nel mito ha aperto gli occhi) condannato a tramutarsi in cervo (impossibilità di comunicare) per aver visto ciò che gli era proibito (la nudità, l’eros creativo). Con una luce fluorescente che ferisce i suoi occhi, qui l’eroe è bloccato nel momento di straziante e consapevole solitudine.
L’opera è correlata a
Modestia e Vanità (1899) di
Vittorio Bressanin e con
Fioritura nuova (1897) di
Cesare Laurenti, rilettura moderna del tema delle tre Grazie. Il piano espositivo concepito da Roig espressamente per Ca’ Pesaro, infatti, prevede l’inserimento di quindici opere da lui realizzate negli ultimi anni all’interno degli spazi museali. Lo scopo è far sì che interagiscano con i capolavori
in situ, contaminandosi vicendevolmente. In un dialogo dinamico tra presente e passato, che origina intrecci di significati inediti. Ecco il senso della mostra: “
Far danzare di nuovo le ombre”.
Al piano terra e sulla facciata di Palazzo Ca’ Farsetti – dove spicca una gigantografia -, invece,
Braco Dimitrijevic (Sarajevo, 1948; vive a Parigi) presenta
Future Post History.
Si tratta d’una serie di opere recenti dell’artista: installazioni e video che tratteggiano il suo concetto di “
futuro post-storico” nel contesto della realtà di Sarajevo, tra le rovine dell’assedio e la successiva ricostruzione.
In quest’ottica è presente l’
Ars Aevi Museum in Progress, ovvero il Museo di Arte Contemporanea di Sarajevo progettato da
Renzo Piano – i suoi disegni originali sono in mostra -, simbolo della rinascita della città.
Post Historicus, tematica già approfondita dall’artista in un trattato pubblicato nel 1976, indaga sulla possibilità di un’interpretazione poetica come alternativa al pensiero storico. Rappresenta un momento di coesistenza tra valori diversi e pluralità delle verità soggettive. Secondo Dimitrijevic, infatti, non esistono errori nella storia, “
poiché la storia stessa è un errore”.