Palazzo Brandolini Rota sorge in uno dei punti più spettacolari di Venezia, dove il Ponte dell’Accademia offre la possibilità di fruire da ogni possibile prospettiva degli aulici edifici che si specchiano sul canale. Archi a tutto sesto e gotici con influenze islamiche si stagliano a ogni livello, le terrazze si aprono in vuoti sospesi sull’acqua, e quasi a poterla sfiorare compare in questo periodo la grande e suggestiva immagine della punta di un iceberg, affilato ed argenteo, su uno sfondo cupo.
Si tratta di una delle opere di
Jocelyne Alloucherie (Quebec City, 1947; vive a Montréal), artista abituata ad allestire e a modificare la struttura degli spazi attraverso un impianto visivo molto raffinato. Amante della scultura e della fotografia, ha da sempre cercato nuove soluzioni per ottenere effetti non usuali attraverso la stampa.
Complice l’utilizzo di grandi scanner, l’artista gioca con la casualità: come base, essenziali immagini in bianco e nero. Cieli colmi di venature e nubi che si ammassano e imitano le onde del mare si trasformano in promontori virtuali, in montagne di tempesta sfumata.
Alloucherie utilizza la sabbia e il suo stesso respiro, soffia su di essa come in un antico rituale orientale e il risultato è maestoso: la natura sembra sconvolta da masse polverose fluttuanti. I contorni non esistono, i granelli diventano materia corposa, come masse anticicloniche in movimento. Onde frastagliate nel cielo, sprazzi di luce che lottano contro il nero assoluto della materia.
L’artista nel corso degli anni evolve il suo pensiero e passa dal minimalismo di
Judd alla ricerca dell’ignoto, dall’essenziale al mutamento del reale: “
Una sola immagine non mi soddisfa, ciò che mi affascina è ciò verso cui mi trasporta, verso qualsiasi altro luogo dell’immaginario e del pensiero”. Quello di Alloucherie è un salto nel vuoto, verso il labirinto delle possibilità, del non finito.
L’intervento dell’artista sul perimetro bidimensionale della fotografia è determinante: ne taglia la linearità ed elimina la contiguità, modificando i livelli di riferimento. Si avvicinano o allontanano gli elementi, fondendo piani diversi, cancellando spazi aperti o creando stratificazioni successive. Si apre così uno scenario metaforico illimitato, togliendo al medium fotografico parte del suo dominio assoluto e creando un processo di sovrapposizione scultorea al processo d’impressione dei sali d’argento.
Uno dei segreti dell’artista canadese è quello di cercare luci eccessive, nella totale assenza o nel troppo pieno, per generare fantasmi del reale, o memorie sopite ed evocative. Per questo sono fondamentali i continui cambiamenti di scala e materia, le continue sperimentazioni.
In uno scontro tra reale e immaginario, trascendenza e immanenza, si costruiscono nuovi paesaggi, conturbanti e poetici, pieni di tensione ed evanescenza.