La luce è metafora di vita, conoscenza e liberazione, attributo della divinità e sua manifestazione, distinzione iniziale nei racconti sull’origine del mondo e via d’accesso sensibile alla realtà spirituale attraverso i colori, come già sottolineato da
Vassily Kandinsky.
Marialuisa Tadei (Rimini, 1964) ne interpreta variazioni e cambiamenti, praticando un’arte che non teme di rivendicare la propria matrice cristiana. La ricerca dell’artista romagnola è tesa a evocare l’invisibile attraverso la luce. Tadei è cosciente del fatto che “
l’estasi ha bisogno di un corpo”, come indica Daniel Kuspit in catalogo. Le sue opere, infatti, tentano di creare un ponte tra materiale e spirituale, fondandosi su un linguaggio minimale, che sfrutta le proprietà degli elementi che utilizza per mutare la percezione dello spazio.
Non solo sfruttando vetro e plastica per enfatizzare la luce, ma anche costruendo motivi ascensionali attraverso sculture quasi senza peso, come
Equilibrio, che modella su quattro piani delle piattaforme ondulate, che paiono galleggiare nell’aria come farebbero le piume che raccolgono al loro interno; o
Waterfall, dove una cascata di nastri di plastica colorata scende da tre metri d’altezza, simboleggiando la discesa dello Spirito Santo. Oppure realizzando equilibri estremi in grado di alleggerire anche materiali più pesanti, come nel
Lamento della grande ciglia esposto all’Isola di San Servolo o nel coloratissimo
Sapienza creatrice in fase di realizzazione.
La connessione di materia e spirito trova anche nel corpo umano motivo d’ispirazione, partendo dalle fluorangiografie, immagini cliniche dell’iride e dei suoi capillari. Tadei ne riprende i motivi tortuosi in una prima serie su plexiglas,
Intra me, per poi riarticolarli nei suoi
Oculus dei. In essi appare evidente lo sforzo di reinterpretazione dell’arte sacra. Da un lato, infatti, l’artista riprende la tecnica del mosaico bizantino realizzato con tessere di vetro tagliate a mano, riscoprendone la capacità di modificare il proprio aspetto con le variazioni della luce del giorno. Dall’altro recupera il motivo classico dell’occhio divino, aggiungendovi una sorta di poetica fisiologia dell’iride divina.
Passaggio alla luce, l’installazione che dà il titolo alla mostra, è una doppia stanza a cui si accede da una porta sulla quale compare la scritta “
Avete ogni speranza voi che entrate…”. All’interno lo spettatore si trova avvolto in una musica ipnotica, mentre cammina su sassi di vetro accanto a piccole croci trasparenti illuminate da colori cangianti. In fondo al passaggio, un grande buco della serratura consente uno sguardo su una dimensione ulteriore e inaccessibile, fatta di batuffoli bianchi che galleggiano nell’aria, di semisfere di vetro specchiato e di piume sul pavimento, di pareti d’alluminio che moltiplicano lo spazio.
Una metafora di un viaggio ultraterreno, che rende esplicito il tentativo sotteso all’intera opera dell’artista, ma anche i rischi d’incomprensione a cui si presta, apparendo qui troppo didascalico e pericolosamente in bilico tra purezza e ingenuità .