La mostra di
Mona Hatoum (Beirut, 1952; vive a Londra),
Interior Landscape, rientra nel ciclo di progetti dal titolo
Conservare il Futuro che la Fondazione Querini Stampalia ha promosso allo scopo d’intrecciare un rapporto dialettico fra l’arte del passato e quella di oggi.
La personale, comprendente una trentina di opere, molte delle quali recenti, si snoda sia nello spazio dedicato alle mostre temporanee che all’interno della collezione permanente del museo, antica dimora della famiglia Querini Stampalia. Per questi ambienti l’artista ha ideato una sorta di
camouflage tra opere d’arte e suppellettili antiche, tale da suscitare nello spettatore un desiderio di “caccia al tesoro”.
È questo il caso di
Natura morta, colorati manufatti in vetro di Murano diligentemente posti in antiche vetrine, le cui sembianze rinviano tanto alle granate che ai frutti esotici, come pure è il caso di
T42 (Gold), un delizioso quanto inutile set di tazze da the per due, o di
Witness, miniaturizzazione del
Monumento dei Martiri a Beirut, presentato qui come un prezioso soprammobile, privato del suo originario significato.
Nella cella di
Interior Landscape, da cui prende nome l’intera mostra, si trova l’immagine storica della mappa della Palestina, che torna impressa in vari oggetti dell’installazione, tratteggiata nei capelli rimasti sul cuscino o risaltata dalla deformazione di un appendiabiti in fil di ferro.
Tra le opere in mostra, anche il celebre
Measures of Distance (1988), in cui l’artista – voce fuori campo – intreccia con la madre, che nel video appare mentre fa la doccia, un fitto dialogo in arabo, intercalato da frasi in inglese.
All’epoca della realizzazione l’opera fece assai discutere per la schiettezza con cui Hatoum intreccia fatti pubblici e privati, sollevando problematiche legate al concetto di lontananza ed esilio.
È difficile comprendere il senso di spaesamento provocato dalle opere di Mona Hatoum, sempre attrattive e repulsive allo stesso tempo, senza ricorrere al concetto freudiano di “perturbante”, nel significato etimologico di
Unheimlich, o a quello di forme “
ossimoriche” od “
organiche”, come le definisce Chiara Bertola per sottolinearne la significazione sempre aperta.
In un’intervista raccolta alcuni anni orsono, a proposito del suo lavoro, Mona Hatoum così si esprimeva: “
Non credo che l’arte visiva sia il linguaggio migliore per presentare argomenti chiari, per non parlare poi di cercare di convincere, convertire, insegnare. Io non presento una narrativa chiara, non punto il dito su una questione o sull’altra. Le cose sono implicite e non affermate direttamente”. Una dichiarazione, questa, che può mettere il visitatore sulla buona strada rispetto alla “presa di coscienza” della sua arte; un’arte estremamente complessa, poiché sfugge a ogni tentativo di categorizzazione o riduzione a sistema.
In netto stridore con il tradizionale concetto di fruizione museale “passiva” e contemplativa,
Interior Landscape si presenta come un percorso stimolante per il visitatore, aperto all’interpretazione e condotto sul filo di una sottile ironia, a tratti giocosa, a tratti riflessiva. Per una delle migliori mostre collaterali di questa 53. Biennale.
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ottima mostra, concordo