Tornano i ribelli a Ca’ Pesaro. Torna lo spirito dissidente, contro retroguardie e passatismi istituzionalizzati. Doveva essere questo il senso della mostra ospitata al secondo piano della Galleria d’Arte Moderna e dedicata ad alcuni giovani italiani, chiamati a confrontarsi con la collezione di pitture e sculture del primo Novecento.
Un senso non propriamente dichiarato, dal momento che a ispirare il titolo –
Non voltarti adesso – è ufficialmente l’omonimo film di
Nicholas Roeg del ’73, ambientato a Venezia e incentrato sui concetti di specchio, rifrazione, memoria. Ma non può certo passare in secondo piano il ricordo di quei primi ribelli (
Gino Rossi,
Arturo Martini,
Umberto Boccioni…) che a Ca’ Pesaro, tra il 1907 e il 1920, avevano dato vita a un’attività espositiva indipendente e fortemente critica nei confronti dell’accademismo allora incarnato dalla Biennale.
E ha inaugurato proprio in concomitanza con la 53. Esposizione Internazionale d’Arte questa mostra a cura di Milovan Farronato, recepita collettivamente come una sorta di anti-Padiglione Italia, fieramente impegnato a guardare avanti anziché indietro. Peccato che il progetto, promosso dai Musei civici veneziani e dalla Fondazione Bevilacqua La Masa, sia del tutto inquadrato in un contesto istituzionale.
Cent’anni fa, invece, Ca’ Pesaro era una sorta di enclave creativa, residenza privata destinata dalla duchessa Felicita Bevilacqua La Masa a giovani talentuosi, innovatori e irrequieti, esclusi dai contesti ufficiali.
Così, se il chiacchieratissimo padiglione di Beatrice&Beatrice ha ostentato un certo conservatorismo privo di guizzi e non esente da accenti commerciali, nemmeno qui radicalismo e innovazione hanno trovato troppo spazio.
Di buon livello i lavori: dall’antimonumentalità frammentata ed effimera di
Luca Trevisani, con le sue strutture colorate di carta e plastica, al concettualismo onirico di
Sergio Breviario, che ha munito un imponente box damascato di sinistri piedi maschili; dalle propagazioni luminose con cui
Nico Vascellari ha plasmato lo spazio, tramite un gioco di specchi e proiezioni, alla costruzione ottica di
Giulio Frigo, in cui lo sguardo della storia converge verso un fulcro geometrico lungo binari invisibili; dalla vecchia tenda sbiadita dal sole – ormai incapace di schermare la luce – recuperata da
Flavio Favelli e qui sistemata alle finestre, fino agli scheletri d’ombrello di
Paolo Gonzato, mesti residui del quotidiano.
E però, più che di ribellione qui forse sarebbe opportuno parlare di
establishment, di un’arte con le buone maniere, politicamente corretta e coralmente condivisa: gli artisti di Ca’ Pesaro raccontano, con un lavoro pulito ed efficace, quell’adesione a formule, codici e stili propri di una giovane arte che fa tendenza, prodotta all’interno dei circuiti ufficiali.
Sempre insidioso, infine, il gioco fra opere antiche e contemporanee. La mostra, nel tentativo di cercare una via leggera e giocosa, non trova un segno definito, né nel senso del dialogo, né in quello della rottura rispetto al contesto.
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Una mostra orrenda, leggera, che riassume i pochi contenuti che offre l'arte contemporanea oggi. Voto 2
fra gli orrori di B&B e la nullità di Farronato non saprei chi scegliere
lavori di buon livello?
null'altro che rumore di fondo....
la cosa piu' impressionante della mostra era la prima delle due sale in cui era stata allestita caratterizzata dagli enormi dipinti di Sartorio considerato un iperaccademico dalla storia dell'arte che lo ha cancellato letteralmente dalla scena: chissa' che dello stesso destino, ad esattamente un secolo di distanza, godano anche questi accademici rimestatori di idee altrui incapaci pero' di osare altrettanto perche nati gia' morti.
Farronato sceglie nel menù che la scena italiana (ma siamo più o meno allo stesso livello anche all'estero) presenta. Forse scoraggiato, un po' frustrato dalla situazione e svogliato non cerca di vedere oltre al suo naso. Questo sì.
Per gli artisti "salverei" con cinque e mezzo favelli e frigo. Gli altri sono, ancora di più, prigionieri in una gabbia di ruolo e di linguaggio.
comunque si tratta di giulio frigo e non sergio frigo...
e' vero, i due mobilieri erano un po meglio del resto, vascellari sempre inutile e pretenzioso cosi' come anche gli ombrelli a terra di Gonzato, forse una delle cose piu indigeste mai viste...
E' vero che anche che fuori d'italia la situazione non e' sicuramente migliore, a cominciare dalle scelte fatte da Birbaum...
milovan sceglie quello che la tachicardica gli permette...
cosa pretendiamo,questi sono impiegati travestiti da artisti...sono tutti (curatore compreso) giovani che ragionano su piani vecchi....anche se apprezzo la loro possibile buona fede...