Il miraggio di un amore cercato, ma non per questo sempre possibile, congelato nella fissitĂ del tempo, attraversa con passo felpato le opere di
Rebecca Horn (Michelstadt, 1944; vive a New York e Berlino) esposte presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia.
Il suo sguardo imperturbabile studia â talvolta dal di fuori, a volte con la pancia â le ricerche infinite della vita. La passione, lâequilibrio, la salute sono, infatti, tra gli obiettivi delle creature elementari che abitano la mostra, simulacri delle visioni piĂč intime dellâartista. Sono immagini poetiche, dallâapparenza fragile, ma con lâanima di mercurio, proiettate nella realtĂ in appuntamenti al buio sul tavolo operatorio che Isidore Ducasse programmava tra ombrelli e macchine da cucire, ma che per Rebecca Horn assumono i contorni di una natura cullata dal flusso continuo del tempo.
Il moto perpetuo che scuote le macchine celibi progettate dallâartista tedesca Ăš complice, ad esempio, di un mĂ©nage tra ingranaggi meccanici e piume di pappagallo (
Parrot Wings Blue, 2009); un fremito le coglie e le trasforma da oggetti inanimati ad ali pronte a spiccare il volo. Nello stesso tempo, una macchina da scrivere (
Amore Continental, 2008) batte con cadenza regolare sulla parete dello spazio espositivo le lettere che compongono la parola âamoreâ: per osservarne il movimento bisogna alzare lo sguardo, allungare le mani per toccarla, pensarla su un altare che ce la rende raggiungibile, ma comunque lontana.
Ma i sentimenti possono nascondere trabocchetti. Ed ecco che lâeterno agonismo tra uomo e donna si risolve in un amplesso in cui a trionfare Ăš la femminilitĂ , riassunta da una conchiglia iridescente per la quale il coito con un enorme fallo in bronzo Ăš un atto dovuto e inevitabile.
Un punteruolo increspa a intervalli la superficie dellâacqua contenuta in un bacile (
Heartshadow for Pessoa â CinĂ©ma VĂ©ritĂ©, 2009). Ă una manovra lieve, ma decisa a turbare lo stato di quiete in cui permane. Il contrasto fra la luce che investe lâoggetto e la penombra trasforma immediatamente questo gesto in pittura, andando a riflettere sulla parete bianca gli effetti dellâinterazione.
Densa di forza ma evocativa, la pittura â sia che documenti, con fittizie concessioni al realismo, le ombre dellâeteronimia del poeta Fernando Pessoa, sia che insanguini meteoriti trafitti da coltelli (
Broken Landscape, 2008), zigzagando tra un corpo e lâaltro â Ăš un raffinatissimo filo dâArianna che guida lo spettatore tra le sirene messe in scena da Horn.
Non ultima la rivisitazione della performance
Feather Fingers (1972), in cui lâartista assume infine su di sĂ© le conseguenze di questi incroci improbabili, guantando la propria mano sinistra di piume e incoraggiandola a uno scambio di effusioni in video con la mano âumanaâ. Le due metĂ , fuse insieme in un unico essere, la leggerezza quasi sensuale di un rapporto che non ha nulla di rapace, fa dellâincontro tra lâuomo e il suo doppio uno degli amori possibili, nella sua bizzarria, forse lâunica fata morgana che lâartista non ha escogitato.