Com’è nata l’idea del progetto?
Gabriele Perretta: Dal punto di vista scientifico, l’idea si basa essenzialmente sul concetto preso dal dizionario situazionista. Mentre il situazionismo storico però considerava il détournement nell’agire per destrutturare, qui l’agire diviene de-costruire, si lega cioè a una spazialità calata all’interno di una città complessa. Abbiamo fatto questa scelta di decentramento con vere e proprie stazioni, dove lo spettatore ha un ruolo attivo, costruendo un evento culturale più che commerciale e nel contempo una provocazione politica.
I luoghi? Come li avete selezionati?
Elisabeth Sarah Gluckstein: Dal punto di vista architettonico, i siti scelti non sono i luoghi consueti dell’arte. Come architetto, ho fatto una ricerca particolareggiata sull’identità di questa città e sulla sua memoria. Ho scelto palazzi storici non aperti al pubblico, chiese, case di ricovero e luoghi dismessi come la zona di Santa Marta. La scelta è stata possibile grazie a uno scambio di servizi per valorizzare i beni culturali.
Uno scambio?
Sì. All’Archivio di Stato ho proposto in cambio il restauro del Pozzo della Trinità, coinvolgendo una ditta legata alla Soprintendenza, e all’Agenzia delle Entrate ho proposto un intervento con monitor che registrano gli studi di architetti internazionali che lavorano su progetti di recupero. Anche per le case di ricovero non volevo contenitori, ma un dialogo con lo spazio, per cui ho proposto lavori che interagissero con gli ospiti. Per le chiese, ho trovato una grande collaborazione da parte della Curia.
E invece, Perretta, come hai scelto gli artisti?
G.P.: È stata una scelta a trecentosessanta gradi, dalle memorie segniche più antiche a quelle contemporanee, fino ad arrivare alle installazioni multimediali più estreme e interattive dove il pubblico partecipa direttamente all’opera. Sono tutti artisti che hanno una storia, non ci sono giovani emergenti. Le Biennali hanno dato già troppo in questo senso. Abbiamo cercato outsider ma già storicizzati, che operano già da diverso tempo seguendo un loro percorso, molti sono artisti ad esempio con cui ho già lavorato in passato. La pittura è rilettura di una memoria. Anche le tecniche tradizionali della Cina sono presenti, con la partecipazione degli artisti cinesi.
E per quanto riguarda gli interventi di architettura?
E.S.G.: Mi sono occupata della parte architettonica basandomi sull’idea delle tecniche dimenticate. L’Archivio di Stato, ad esempio, verrà reinterpretato come luogo archeologico del sapere. Al Molino Stucky ho creato un vero cantiere architettonico restaurandolo all’interno per creare gli spazi adatti agli artisti, mentre nel secentesco Palazzo Albrizzi, dove avrà luogo una futura Biblioteca del Teatro, ho invitato un artista a creare il Teatro della memoria. Un altro sito interessantissimo è la Caserma Cornoldi a Riva degli Schiavoni, dove ho predisposto un’installazione sulla facciata.
Come va visitata la mostra?
E.S.G.: Non c’è un percorso unico: al visitatore saranno forniti diversi strumenti, anche multimediali. Ho invitato ad esempio l’artista veneziana Silvana Scarpa a disegnare una mappa ad acquarello, e ho recuperato antiche mappe veneziane per mostrare come si è trasformata la città nei secoli. Ogni visitatore può dunque scegliere la strada di sua preferenza per una passeggiata su misura.
a cura di m.t.
*articolo pubblicato su Exibart.speciale Biennale. Te l’eri perso? Abbonati!
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