Scrivere di questa 53. Biennale non è facile. Nel suo
essere piacevole,
up to date e persino
geographically correct (la provenienza degli artisti
incrina volutamente il consueto occidentalismo), la mostra messa insieme da
Daniel Birnbaum è (quasi) inattaccabile.
Come si dice spesso in gergo, l’esposizione “funziona”.
Appaga gli occhi, non lesina colpi di scena e piacevolezze, risponde
sufficientemente bene al concept curatoriale (
Making Worlds / Fare Mondi). Ma il suo limite – che non
sembri un artificio retorico – sta proprio nella tendenza a
funzionare come un meccanismo di precisione.
Un po’ di vecchio e un po’ di nuovo, un po’ di manualità e un po’ di
tecnologia, un po’ di poesia e un po’ di politica. Dosare in parti uguali,
innaffiare di ironia e servire in salsa allestitiva impeccabile.
Se la potenza dell’arte sta nel mettere in scena la
dis-funzione, materializzare il cortocircuito,
generare punti di vista
impensati e
impensabili, questa Biennale, nella sua ordinarietà, manca
paurosamente l’obiettivo. Epura il disagio, confina l’imbarazzo, addomestica la
visionarietà. Dando una prova di consumata professionalità, che mette in
secondo piano quell’
urgenza che – indipendentemente dal medium e dallo stile – ogni
opera d’arte dovrebbe esprimere.
L’ex Padiglione Italia, ora Palazzo delle Esposizioni, apre
Fare Mondi con un’opera che, in questo
contesto, finisce per apparire didascalica. È
Galaxy Forming along
Filaments, like Droplets along the Strands of a Spider’s Web dell’argentino
Tomas Saraceno, installazione attraversabile
fatta di corde elastiche che evoca da subito il
tema del giorno in chiave geometrico-cosmologica.
La mostra procede con toni sommessi, fra proposte eleganti
ma inerti (come la
loop machine cinematografica di
Simon Starling, le proiezioni vintage della pur
brava
Rosa Barba e
il gioco di ombre di
Hans-Peter Feldman) e
repêchage di avanguardisti storici riproposti in chiave
sterilizzata (i bastoni colorati di
André Cadere, la sala dedicata al
Gruppo
Gutai, il remake
dell’installazione del 1976 di
Blinky Palermo).
Unica eccezione, gli universi infernali in claymation di
Nathalie
Djurberg,
vincitrice del Leone d’Argento come miglior giovane artista, che catapultano il
visitatore in un Paese delle Meraviglie alla rovescia, dove si mescolano
erotismo e violenza, con tutta la potenza della fiaba che si trasforma in
incubo.
Non cambia l’atmosfera all’Arsenale, anche se qui la
mostra è più d’impatto, grazie anche alla benevolenza del contenitore
architettonico. Le opere che si susseguono nel lungo corridoio hanno l’aria di
comportarsi come ben orchestrate scenografie (che diventano vetrine ben
allestite nei casi peggiori).
Abbondano i fili e le trame – curioso questo persistere
della tessitura, dell’intreccio, della cucitura – a cominciare dai raggi di
Lygia
Pape (che
svolgono lo stesso ruolo di
incipit a effetto che aveva Saraceno al Palazzo
delle Esposizioni), per passare ai lampadari appesi su un soffitto di fili
colorati di
Pae White,
il
paesaggio di rocchetti di
Moshekwa Langa e l’accrocco di cartoni sospeso di
Yona Friedman.Anche artisti di comprovata bravura – come
Paul Chan,
Cildo Mereiles e
Ceal Floyer –
appaiono in tono minore, con
opere compiaciute e decorative.
Piccole ma rinfrescanti sorprese, invece, riserva il
Giardino delle Vergini, con gli ottimi interventi – giocosi e ispirati – di
Lara
Favaretto e
Miranda
July.
Non consola il giro per i Padiglioni nazionali, che si
snoda tra veri e propri scivoloni (la Francia di
Claude Lévêque, l’Italia dei
Collaudi,
il Giappone di
Miwa Yanagi), giocate facili (gli Stati Uniti
dell’inossidabile
Bruce Nauman) e compitini bene eseguiti (l’Inghilterra di
Steve
McQueen e la
Germania di
Liam Gillick).
Emerge invece per forza e poesia il progetto di
Teresa
Margolles nel
Padiglione messicano, una mostra che trasforma Palazzo Rota Ivancich in uno
straniante luogo di lutto. Si mette poi in evidenza, per la vena ironica e
l’attitudine allo spiazzamento, il Padiglione dei Paesi Nordici, curato dalla
coppia di artisti
Elmgreen & Dragset. Ma anche qui, dopo una visita divertente e
divertita, rimane il senso di una messa in scena ben architettata, un disturbante
retrogusto di marketing virale.
A Venezia, quest’anno, il mondo dell’arte ha dato prova d’impeccabile e noioso
professionalismo. Più che a “fare mondi”, artisti e curatori sembrano impegnati
a “fare mostre”. Con poca
arte e molto
mestiere.
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Non potevano darla alla Tanni la Gam di Trento invece che al solito raccomandato di Eccher?
articolo assolutamente condivisibile. valentina tanni ragiona, è lucida ed è brava.
Concordo su molto di ciò che la Tanni ha detto. La Margolles su tutto.
concordo con l'analisi cruda e netta della Tanni,credo che l'artista odierno si sia trasformato semplicemente in un surrogato di questa malsana società globalizzata negativamente,ed abbia perso di vista il senso dell'"essere" avvicinandosi sempre di più alla effimera logica dell'"avere"...... ci sarebbe molto da discutere ,mi auguro che ogni artista tiri fuori gli scheletri che tiene chiusi nel proprio armadio ed inizi ad essere,me compreso.
potevano darle proprio la gam di torino!
La "Biennalemania" di Venezia è morta nel 1968. Adesso, non è altro che un grande luminoso lunapark o centro commerciale per turisti in cerca di qualche futile, evanescente emozione. Le holding dell'arte hanno fatto flop, nessuno ci crede più. Gli artisti, quelli non lagnosi, che non aspirano al successo o alla carriera, vivono facendo altri lavori. Oggi sono proprio questi artisti che non si sentono emarginati dal sistema dell'arte, la vera novità. Artisti che operano in circuiti alternativi, non profit, come negli anni Settanta. Luoghi che non puzzano di compromesso, ma se non altro, danno un senso di liberazione e di sollievo a tutti coloro che vogliono esprimere i propri sentimenti. Qualcosa che finalmente ricomincia a fluire tra la gente comune, dove il fare arte si coniuga con l'etica, l'estetica e la qualità della vita, come l'acqua in tutto il suo ciclo. Naturalmente, non inquinata da curatori, critici e artisti che se la cantano e se la suonano. Un'arte che invade come un virus la vita quotidiana della gente comune, che esce dai luoghi istituzionali per installarsi nelle periferie vuote, nelle fabbriche, nelle strade, in mezzo alla comunità. Bisogna smetterla con queste manifestazioni addomesticate, burrate da galleristi, critici, curatori, politici:i soliti, che buttati via dalla porta rientrano dalla finestra. Cercate l'arte tra la vita e fatela con la gente. Non è così. L'osservazione e la curiosità della vita della gente, nei confronti del mondo, della società e del passato sono sempre state, storicamente, l'umus della creatività per tutti i grandi artisti del passato. Gli artisti devono uscire dalla loro bolla esistenziale. L'arte, quella autentica non è mai andata a braccetto col potere? NON E' COSI'
Savino Marseglia (Curatore Indipendente)
E invece ti faccio una rivelazione-curatore indipendente,cioe' anche tu scrocchi sulla gobba degli artisti che ci mettono il culo se non la faccia-SONO GIA'VECCHI ANCHE QUESTI DISCORSI-Ma tu che non sei un'artista che cazzo ne sai?Sono discorsi,per esempio,che io facevo nel 96!-SVEGLIATI!-Sono discorsi che puoi ,se ce la fai,fare in una societa' civile-In una societa'bestiale e selvaggia come quella di oggi invece ti dico che l'artista in quanto tale e quindi essere ultrasensibile-se non è così son truffatori-deve trovare la forza di proteggersi.tutelare il tesoro che ha in se per l'umanità e non certo buttarsi piu a kamikaze in una vita quotidiana dove la piu dolce nonnina diventa un feroce mostro assasino nell'accettazione generale.
l'artista dopo aver fatto il suo bel tuffo nell'underground negli anni 90,anni in cui questo era umanamente possibile, oggi,spiace signori ma c'e' esigenza e diritto anche sennonchè dovere,di difendersi e tutelarsi con tutte le forze che permette l'arte.Forse col risultato della ri-formazione dei capannelli storici che avevamo distrutto.forse,con la ri-creazione di riserve,funzionali alla tutela della specie in via di estinzione-perchè se è vero che tutti oggi mettono il culo in vetrina è altrettanto vero che questa gente prende per il culo.E di artisti veri un ce n'è quasi piu!Forse,che vi piaccia o non vi piaccia,ritornando, per assurdo,con volontà ad un settarismo ,al cub,al ghetto,alla comunità.
Pincopalla, io non scrocco su nessuna pelle di artista, per fortuna faccio un mestiere che non ha niente a che fare col mondo dell'arte. Amo gli artisti che fanno tutt'altro... che preoccuparsi di vendere le proprie opere.