Di fronte allo spettatore, la propria immagine: è riflessa sulla scultura in alluminio, legno e specchio di
Doorway, incipit di un percorso narrativo sul tema dell’osservare e dell’essere osservati. Tema che pervade tutta l’opera di
Lucas Samaras, contestato rappresentante del Padiglione greco. Trasferitosi in America appena undicenne, infatti, questi è considerato dai più un artista made in Usa. Afferma Samaras in proposito: “
Nella mia città natale ho costruito il mio inconscio; Grecia è il sogno, America è ciò che sono da sveglio. La mia arte è un curioso miscuglio di tutto questo”.
La multi-installazione
Paraxena riunisce alcune recenti serie di foto e video prodotti dall’artista tra il 2005 e il 2009, affiancati da un gruppo di opere scultoree, realizzate a partire dalla metà degli anni ‘60. Fragili gioielli montati in alluminio, metaforiche rappresentazioni del frammentato sé, forma incompleta di autoritratti che la dice lunga sull’indagine introspettiva compiuta dall’artista.
Di carattere indubbiamente più sociale è il lavoro di
Socratis Socratous per il Padiglione cipriota. L’artista mette in scena
Rumour, una serie d’installazioni, performance ed eventi. Uno fra tutti: la palma che vaga per la città su una barca. Maestosa e al tempo stesso goffa, in un’ambientazione così impropria, richiama fortemente la metafora dello sradicamento.
Del resto, l’intero lavoro dell’artista s’impernia sulla denuncia della pesante situazione a Cipro, dove a tutt’oggi coesistono le due comunità etniche, greco-cipriota e turco-cipriota, in balia di politici coinvolti in un perpetuo ciclo di negoziati senza apparente sbocco.
Consta di due progetti paralleli invece
Lapses, nel Padiglione turco:
Exploded City, modello di città con edifici prima e dopo una crisi, di
Ahmet Ögüt; e
Catalog 2009, foto classificate e presentate come un catalogo di vendita per corrispondenza, di
Banu Cennetoglu. È un’indagine filosofico-sociale dal sapore borgesiano sulla percezione e sulla condizione mutevole degli eventi, legata alla loro de-contestualizzazione.
In un flusso lineare e continuo di tempo,
Lapse implica un senso di disorientamento o una disconnessione con ciò che ci circonda; solo riconoscendone l’azione sulla nostra memoria collettiva, dipendente dagli archivi visuali creati dai media, si possono ristrutturare i ricordi, distinguendo la realtà in modo soggettivo.
Infine, il Padiglione armeno, che ospita i lavori di
Gayané Khachaturian. Quello dell’artista georgiana è una straziante ricerca della propria identità, che utilizza simboli scaturiti da impulsi interiori. La sua
Weltanschauung deriva dai panorami e dai costumi tipicamente caucasici. Il mondo della sua pittura è piatto, senza drammi, senza sconvolgimenti sociali: fantastici, i personaggi che popolano la magica scena di stile quasi medioevale.
Scrive Natalia Shkarovskaya: “
L’arte di Gayané si apre come un paesaggio senza confini”.