Quella giapponese è una cultura in chiaroscuro, dalle tonalità estreme, ove coesistono Hiroshima e i giardini zen. A Venezia
Miwa Yanagi presenta enormi fotografie elaborate in cui la grazia, attributo principe della donna, è seviziata dall’orrore del tempo, che deturpa volti e corpi di queste gigantesse (circa tre metri d’altezza) che danzano su paesaggi minuscoli come fossero demoni infuriati.
L’artista da tempo indaga quell’immagine di sé che le giapponesi custodiscono dopo i cinquant’anni, ricavandone anche quest’ultima serie. In una cultura in cui le liceali in gonnellina rappresentano una delle più intense fantasie erotiche, questo lavoro assume forza e senso ulteriore.
Allo stesso modo assume un senso più drammatico se l’idea di costruire un’agenzia di viaggi posticcia è realizzata nel Padiglione tailandese. Nota ai più come meta del turismo sessuale, la Tailandia si presenta a Venezia con
Gondola al Paradiso Co., Ltd, progetto collettivo che riproduce ogni materiale promozionale tipico di un tour operator.
La descrizione del Paese come stereotipo – con la sua cucina, i sorrisi, le spiagge incontaminate e la libertà sessuale – crea un effetto comico e critico circa la costruzione di una Tailandia che non appartiene ai tailandesi, ma si profila come meta paradisiaca per masse di visitatori che hanno invaso anche l’immaginario collettivo autoctono.
Un progetto che tiene conto della medesima situazione in cui versa Venezia, città da tempo caduta nelle mani dei turisti.
Anche Singapore fa i conti con la propria identità culturale. Città-stato dal passato illustre, negli anni ‘50 è stata una delle capitali asiatiche del cinema, con una concentrazione di produzioni degna di Hollywood. A quel tempo, presto scomparso sotto gli effetti d’una storia di conquiste, si rifà la mente ossessionata e nostalgica di
Ming Wong, artista che nutre un sano feticismo per il cinema, al punto da costruire una mostra che espone materiali d’archivio (intrigante la serie di Polaroid dedicata agli scheletri delle sale cinematografiche) vicino a dipinti e filmati che copiano i manifesti e le trame di pellicole famose.
Ming Wong va pure oltre: trasforma gli slogan e i dialoghi in altrettante prese di posizione critiche nei confronti della Singapore odierna.
La Corea si presenta come lo spazio intimo di un’elaborazione astratta e concettuale. Le installazioni di
Haegue Yang comprendono tapparelle e sensori collegati a ventole, che cambiano impercettibilmente l’ambiente al passaggio del visitatore. Le immagini del quartiere povero di Seul, tra calcinacci e rovine, rappresenta un secondo momento della ricerca dell’artista sullo “
lo stato di vulnerabilità che include un suono pieno di potenzialità”.
È il suono interiore del ricordo, della memoria, che si coniuga con l’ambiente domestico in un intreccio poetico ed evocativo.