Di fronte al Padiglione francese, e non è la prima volta, una lunga coda: nella notte che precede la rivoluzione,
Claude Lévêque vuole che vi si acceda in solitudine, in sparuti gruppi che meglio possono avvertire il pathos del cuore nero che alimenta l’insurrezione.
Come nel film di
Andrzej Wajda,
Danton, anche qui è l’attesa a esser protagonista di quell’evento tragico e sconvolgente che si prepara nel silenzio e nell’immobilità di un tempo sospeso fino a esplodere. Nella gabbia d’acciaio inossidabile a forma di croce greca, ogni estremo accoglie una bandiera nera che sventola nell’oscurità, silenziosa come sulla prua di una nave pirata, immersa nel silenzio di una notte che precede l’assalto.
Il colore preferito da Sartre e dagli esistenzialisti della
rive gauche risuona come il simbolo di un’inquietudine espressa attraverso la sintesi astratta di un’installazione claustrofobica e minimale. Con essa Lévêque affronta il mito della Grande rivoluzione in Francia,
Le grand soir (questo il titolo) dell’
ancien régime, che si pone come auspicio per un rinnovamento sociale anche oggi, almeno là dove “
gli uomini sognano l’insurrezione perché il buio delle loro esistenze è diventato troppo crudele”.
La notte cala anche su Gaia, un pianeta ormai oppresso dall’uomo. Così crede l’artista monegasco
Philippe Pastor, primo invitato del Principato di Monaco, che presenta il proprio Padiglione nazionale, segno di una rinnovata sensibilità per l’arte contemporanea che sta alimentando la politica culturale del principato.
Ospitate nella corte del palazzo del Presidio Militare, le tre grandi opere di Pastor si presentano come immagini della Terra scattate dal satellite. È il cielo che guarda la Terra (come indica il titolo,
Le ciel regarde la terre) e che vede immagini di devastazione.
Si tratta di pannelli lignei di molti metri d’ampiezza, su cui cola una pittura astratta realizzata con pigmenti naturali provenienti dal Marocco (ocra e marrone, blu, verde), uniti a elementi naturali (rami, foglie secche, sabbia ecc.) manipolati e plasmati attraverso il fuoco, l’acqua e l’uso dell’aria compressa. Il trittico è composto da
Les cyclones,
Le pole nord,
La nature défigurée, e sono i tre atti di un dramma che ha per titolo il riscaldamento globale.
Seguendo una linea tracciata da
Alberto Burri, Pastor non esita ad agire sulla materia con la fiamma ossidrica, per rappresentare il mondo così come lo vedono i satelliti. Si tratta però d’un mondo irriconoscibile, disciolto nel colore di un espressionismo astratto al quale l’artista avvicina un gruppo di alberi bruciati da un incendio doloso, su cui applica rottami provenienti da luoghi ove sono avvenuti attentati terroristici.
Lo sfondo sociale di quest’arte si rivela nell’impegno diretto dell’artista a favore del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e della campagna “Plantons pour la Planète”.