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22
luglio 2009
biennale 2009_partecipazioni nazionali Area germanofona
biennale 2009
Il rapporto con lo spazio espositivo, con la natura e il ripensamento dell'architettura. Sono le linee-guida di tre esperienze geografiche eterogenee, ma dal respiro comune. Con risultati del tutto differenti...
di Santa Nastro
A leggere gli stampati a supporto della mostra di Liam Gillick per il Padiglione tedesco s’imparano molte cose. Innanzitutto, che il punto di partenza è lo spazio che la ospita, reso dalla Germania nazista uno dei suoi simboli.
Gillick riprende in mano il progetto di riformulazione firmato da Arnold Bode nel 1957, mai realizzato, per proporre una suddivisione più funzionale della struttura e per cancellare, per quanto possibile, l’aria magniloquente di una storia non edificante. Il problema è che, per quanto suggestivo e affascinante, tutto questo, in mostra, non si vede. Soprattutto perché il meccanismo va a incepparsi con l’autobiografia.
La suddetta ripartizione, operata tramite i moduli di una cucina, ripropone a Venezia l’habitat di lavoro dell’artista. Non manca il suo gatto sulla sommità del mobile che, stando sempre alla letteratura, dovrebbe essere “animatronico” e quindi parlare, ma sembra solo impagliato. Ciò che resta visitando il padiglione è un certo scetticismo. Ciò che rimane documentandosi sul progetto è la sensazione di una buona idea indebolita dalla voglia di strafare. Ma anche una domanda: quanto avvicina un’arte da leggersi col manuale?
Si risolve meglio la mostra di Silvia Bächli per il Padiglione svizzero. Il rapporto tra forma e segno trasforma l’uomo in misura della natura. Il corpo è metro del paesaggio che lo circonda e della composizione pittorica, sia nelle opere più esplicite, nelle quali i corpi sono chiaramente percepibili, sia laddove la fisionomia sfuma in astrazione.
Nella Chiesa di San Stae, invece, Fabrice Gygi gioca con lo spazio occupandolo con presenze non convenzionali, impalcature da stoccaggio détournate in un contesto che non appartiene loro.
Il Padiglione austriaco presenta tre modi diversi di fare arte, interpretando ragionevolmente il senso della partecipazione nazionale. Elke Krystufek (Tabou Taboo, 2009) propone una pittura gestuale, all-over, che si svolge su più registri, tra volti emaciati, parole in libertà, simboli sessuali. Rigorosa e per niente istintuale è Dorit Margreiter (Pavillion, 2009): come Gillick, l’artista austriaca va a confrontarsi con le origini storiche dello spazio ospite, ragionando tuttavia sull’architettura come scenografia per l’arte e sulla sua eventuale attualità nel contemporaneo, con un metafilm in bianco e nero, dal sapore un po’ d’antan.
Chiude il percorso il duo Franziska & Lois Weinberger, che coerentemente con la loro poetica si confronta con lo spazio esterno al padiglione, in un rapporto viscerale con la natura (Laubreise, 2008-09). Una struttura separata fa da cornice a un grande cubo di foglie marcescenti, simbolo della transitorietà della vita e della coincidenza, non casuale, tra le parole “cultura” e “coltura”.
Lo affianca un’installazione che raccoglie e documenta l’opera degli artisti dagli anni ’70 a oggi, ben raccontata, con interviste e testimonianze, inoltre, dal volumetto a cura di Claudia Zanfi, The Mobile Garden, presentato in mostra per l’occasione.
Gillick riprende in mano il progetto di riformulazione firmato da Arnold Bode nel 1957, mai realizzato, per proporre una suddivisione più funzionale della struttura e per cancellare, per quanto possibile, l’aria magniloquente di una storia non edificante. Il problema è che, per quanto suggestivo e affascinante, tutto questo, in mostra, non si vede. Soprattutto perché il meccanismo va a incepparsi con l’autobiografia.
La suddetta ripartizione, operata tramite i moduli di una cucina, ripropone a Venezia l’habitat di lavoro dell’artista. Non manca il suo gatto sulla sommità del mobile che, stando sempre alla letteratura, dovrebbe essere “animatronico” e quindi parlare, ma sembra solo impagliato. Ciò che resta visitando il padiglione è un certo scetticismo. Ciò che rimane documentandosi sul progetto è la sensazione di una buona idea indebolita dalla voglia di strafare. Ma anche una domanda: quanto avvicina un’arte da leggersi col manuale?
Si risolve meglio la mostra di Silvia Bächli per il Padiglione svizzero. Il rapporto tra forma e segno trasforma l’uomo in misura della natura. Il corpo è metro del paesaggio che lo circonda e della composizione pittorica, sia nelle opere più esplicite, nelle quali i corpi sono chiaramente percepibili, sia laddove la fisionomia sfuma in astrazione.
Nella Chiesa di San Stae, invece, Fabrice Gygi gioca con lo spazio occupandolo con presenze non convenzionali, impalcature da stoccaggio détournate in un contesto che non appartiene loro.
Il Padiglione austriaco presenta tre modi diversi di fare arte, interpretando ragionevolmente il senso della partecipazione nazionale. Elke Krystufek (Tabou Taboo, 2009) propone una pittura gestuale, all-over, che si svolge su più registri, tra volti emaciati, parole in libertà, simboli sessuali. Rigorosa e per niente istintuale è Dorit Margreiter (Pavillion, 2009): come Gillick, l’artista austriaca va a confrontarsi con le origini storiche dello spazio ospite, ragionando tuttavia sull’architettura come scenografia per l’arte e sulla sua eventuale attualità nel contemporaneo, con un metafilm in bianco e nero, dal sapore un po’ d’antan.
Chiude il percorso il duo Franziska & Lois Weinberger, che coerentemente con la loro poetica si confronta con lo spazio esterno al padiglione, in un rapporto viscerale con la natura (Laubreise, 2008-09). Una struttura separata fa da cornice a un grande cubo di foglie marcescenti, simbolo della transitorietà della vita e della coincidenza, non casuale, tra le parole “cultura” e “coltura”.
Lo affianca un’installazione che raccoglie e documenta l’opera degli artisti dagli anni ’70 a oggi, ben raccontata, con interviste e testimonianze, inoltre, dal volumetto a cura di Claudia Zanfi, The Mobile Garden, presentato in mostra per l’occasione.
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Elke Krystufek a Baden bei Wien
Dorit Margreiter ad Art Basel 38
santa nastro
dal 6 giugno al 22 novembre 2009
Padiglione tedesco – Liam Gillick
a cura di Nicolaus Schafhausen
Giardini di Castello
Fondamenta dell’Arsenale – 30122 Venezia
Orario: da martedì a domenica ore 10-18
Ingresso: intero € 18; ridotto € 15
Info: tel. +39 0415218711; fax +39 0415218812; info@deutscher-pavillon.org; www.deutscher-pavillon.org
dal 6 giugno al 22 novembre 2009
Padiglione svizzero – Silvia Bächli
a cura di Urs Staub
Giardini di Castello
Fondamenta dell’Arsenale – 30122 Venezia
Orario: da martedì a domenica ore 10-18
Ingresso: intero € 18; ridotto € 15
Info: tel. +39 0415218711; fax +39 0415218812; www.silviabaechli.ch
dal 6 giugno al 22 novembre 2009
Padiglione svizzero – Fabrice Gygi
a cura di Andreas Münch
Chiesa di San Stae
Campo San Stae (zona Ca’ Pesaro) – 30135 Venezia
Orario: da martedì a domenica ore 10-18
Ingresso libero
Info: tel. +39 0415218711; fax +39 0415218812; www.bak.admin.ch/biennale09
dal 5 giugno al 22 novembre 2009
Padiglione austriaco – Franziska & Weinberger | Krystufek | Margreiter
a cura di Silvia Eiblmayr e Valie Export
Giardini di Castello
Fondamenta dell’Arsenale – 30122 Venezia
Orario: da martedì a domenica ore 10-18
Ingresso: intero € 18; ridotto € 15
Info: tel. +39 0415218711; fax +39 0415218812; austrianpavilion09@goldmannpr.de; www.biennale09.at
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