Magnetism I del saudita
Ahmed Mater Aseeri è l’emblema di un linguaggio che si nutre di tradizione quanto di stimoli esterni. Mater utilizza due calamite a forma di cubo, che colloca in posizione opposta – una visibile, l’altra nascosta – e, tutt’intorno, elementi di ferro in un vortice di attrazione-repulsione. Evidente il richiamo alla Ka’ba, luogo sacro e fulcro del mondo islamico. Scelta rappresentativa, quindi, per iniziare il percorso di
Edge of Arabia, collettiva che riunisce, tra gli altri,
Faisal Samra,
Shadia & Raja Alem,
Manal al-Dowayan. Palazzo Contarini Dal Pozzo, che la ospita, è anche sede del party per la neonata Sharjah Art Foundation.
Il Padiglione degli Emirati Arabi Uniti debutta all’Arsenale, con il titolo provocatorio di
It’s Not You. It’s Me, puntando sul lavoro fotografico di
Lamya Hussain Gargash. L’artista contrasta l’immagine stereotipata di un Paese sfavillante, mettendo il visitatore di fronte a una realtà inaspettata. Con la serie
Familial, entra nelle stanze di alberghi economici, luoghi densi di emozioni, che scopre possedere un’anima. Per personalizzare l’esperienza, poi, vi colloca le foto dei propri familiari.
Autonomamente, Abu Dhabi presenta alla Biennale il meeting point
Adach Platform for Visual Arts in Venice. Consapevole dei propri traguardi in termini di progresso, l’emirato mostra grande interesse per le arti visuali, come testimonia
Hassan Sharif con
Collection of works, installazione in progress che occupa un’intera stanza all’Arsenale Novissimo.
Parlando di stanze, il Padiglione siriano si chiama proprio
Stanza d’artista. Traendo ispirazione dal tema presenza/assenza, interpretato da
Issam Darwish con la raffigurazione di indumenti femminili, non si può non constatare – per l’appunto – la scarsa presenza degli artisti siriani, rappresentati solo da Darwish e dall’informale
Yasser Hammoud: gli altri sono italiani, insieme al finlandese
Palosuo.
Sembra quasi un ossimoro, poi, il Padiglione iraniano (
Hope for the future): si spera nel futuro, ma ci si ostina a guardare al passato. Benché nobile, come la tradizione calligrafica per
Sedaghat Jabbari o l’epopea del
Libro dei Re, a cui s’ispira in chiave pop
Iraj Eskandari.
Più stimolanti gli artisti di
Divano Orientale-Occidentale: Arte contemporanea dall’Afghanistan, Iran e Pakistan: tra loro, il grande fotografo
Bahman Jalali e artiste quali
Zolaykha Sherzad e
Aisha Khalid, che dà voce alla claustrofobica condizione delle donne pakistane attraverso un intricato disegno geometrico. Raffinato miniaturista, infine,
Mohammad Imran Qureshi gioca con la tradizione, inserendo elementi iconografici del contemporaneo, come l’uomo in “
salwar kamiz” a passeggio con l’ombrello nero.
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