…sulla suprema sineddoche che indica l’uomo come rappresentazione della natura e infine del cosmo: dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, l’unità come misura del tutto.
Lo spiritualismo orientale indica nel Chi l’energia cosmica che permea l’universo e fluisce in ogni corpo (l’idea di distinguere tra corpi animati ed inanimati sarebbe solo una sterile deformazione del pensiero occidentale); si configura così l’ordine assoluto, l’organismo onnicomprensivo il cui l’equilibrio non può e non deve essere sovvertito.
Michael Joo, nato ad Ithaca (NY) nel 1966, con le sue opere punta ad educare l’uomo al rispetto dell’ordine cosmico, mostrandogli il coesistere di elementi apparentemente opposti; frammento e tutto, interno ed esterno, individuo e gruppo. L’artista mostra l’energia sprigionata nell’immobilità e si appella al principio che interpreta la morte come semplice trasformazione di tale energia, nell’atto di riflusso nel continuum cosmico. Esemplare appare il suo Albero, in cui le sezioni di un’enorme quercia sono ricomposte a suggerire l’originale interezza: evidente il duplice messaggio, che induce il visitatore occidentale ad interpretare ogni singola parte come essenza del tutto ma anche a considerare il martirio del grande vegetale, mummificato nel tentativo di ricomporsi nella forma primaria originaria.
Ed esemplari appaiono anche le straordinarie opere di Do-Ho Suh, che si ricollegano all’idea dell’individuo come parte del gruppo. Ma l’artista coreano, nato a Seul nel ’62 e che vive a NY, sull’onda dei recenti successi, tra cui si inserisce la personale al Whitney dal titolo Some/One, continua la sua ricerca mettendo in campo ulteriori variabili, quali l’identità e le diversità socio-culturali.
Dal pavimento del padiglione coreano sembra generarsi, coagularsi una splendida ed inquietante armatura argentata (Some/One-Alcuni/Uno). Doppiezza e ambiguità: la semplicità ed essenzialità dell’installazione rivelate a distanza acquistano significato e nuovi contenuti ad un approccio più ravvicinato. Nello spazio metallico che accoglie l’opera il visitatore trova la vera epifania: non l’armatura (o, meglio, non solo) ma le migliaia di placchette militari (uguali ma, allo stesso tempo, diverse perché nominali) disposte ordinatamente secondo un andamento circolare a comporre la rigida veste metallica. E d’intorno, quasi a costituire l’opposto polo di un sistema che, alternativamente, genera attrazione e repulsione, le pareti monocrome si rivelano fittamente e regolarmente occupate da mille e mille minuscoli volti diversi. Sembrano infondere l’energia necessaria al compimento dell’atto creativo quei volti, ed inducono ad aguzzare la vista per distinguere i tratti somatici di ciascuno di essi, per scoprire “Chi sono?” o, meglio, Who Am we?-Chi Sono Noi?
Credo che la genialità del messaggio di Do-Ho Suh si possa sintetizzare in un’idea fondamentale: far riflettere l’uomo sulla/e unità complessiva/e (qualunque essa/e sia/siano) passando attraverso la presa di coscienza della propria unità. L’interazione tra il visitatore e l’opera d’arte, ben evidente anche nel tappeto di vetro trasparente sorretto da una moltitudine di lillipuziani omuncoli di plastica (Floor) esposto nel Padiglione Italiano, induce alla simbiosi con l’essenza di un’anima collettiva, percepibile solo a patto di offrire in pegno, e dunque di svelare come una sorta di voto religioso o pellegrinaggio condotto attraverso l’opera, la propria anima individuale.
C’è qualcosa di profondamente sacro in tutto ciò: l’ingresso al padiglione coreano suggerisce il silenzio, l’intimo raccoglimento nel rispetto di un’esperienza individuale che conduce a sperimentare una bellezza cristallina e divina.
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Il lavoro liturgico e terribilmente ridondante di Do lo ha posto tra i migliori contemporanei al mondo per qualità e ricerca, e in poco tempo. L'atmosfera del padiglione coreano era tra le più accese -seppur, giustamente, sacrali- di tutta la biennale.
Il padiglione coreano sembra un'inno alla vita e alla positività, questo colpisce e incanta, in altri sembra di essere in un vecchio luogo per necrofili...
Il + sentito!
Raffinato, mistico e intimista. Uno splendido sguardo al pensiero.