“# biennale.py ___ go to ___ 49th Biennale di Venezia” (0100101110101101.ORG + [epidemiC], 2001)
Il noto collettivo di net artisti 0100101110101101.ORG, invitato alla Biennale di Venezia in qualità di “ospite straniero” del Padiglione Sloveno, si fa affiancare dal gruppo milanese [epidemiC] e annuncia una performance incredibile: il lancio di un virus informatico. Il codice sorgente del programma verrà reso pubblico e diffuso il 6 giugno, giorno dell’apertura della Biennale. Le maggiori società anti-virus e software house sono state preventivamente informate delle specifiche tecniche di “biennale.py”, e al virus verranno allegate le istruzioni per la disinstallazione. Si tratterà dunque di una distribuzione controllata, ma, come sempre quando si tratta di virus, la reale pericolosità passa in secondo piano rispetto al vero contagio, quello psicologico.
Il virus informatico infatti è qualcosa che genera un senso di disagio anche solo a nominarlo e chiunque possieda un computer lo sa bene. E’ entrato in maniera prepotente nell’immaginario contemporaneo come nuovo simbolo del male, della catastrofe, del disastro irreversibile. Ma la presunta “malvagità” dei virus è ovviamente una connotazione che la società ha costruito, una mitologia negativa, che ha la sua origine in una complessiva visione “esoterica” delle tecnologie elettroniche. E’ chiaro infatti che in mancanza di una minima consapevolezza dei meccanismi in atto dentro a quella scatola che chiamiamo piccì, che sembra dover magicamente obbedire ad ogni comando, ogni minimo errore viene percepito come un flagello misterioso, come l’esplicazione del caos, e genera un senso di impotenza e frustrazione. Ma la “sorgente del visibile”, cioè la matrice di quello che appare sul monitor non è altro che “codice scritto”, e i virus ne rappresentano l’espressione più complessa e sofisticata.
Il gruppo [epidemiC] sostiene una teoria incentrata su una possibile “bellezza del codice sorgente”, sulla programmazione come “arte in sè” e non come semplice strumento per produrre opere d’arte. Gaetano La Rosa, esponente del gruppo, scrive: “Negli ambienti informatici c’è già piena coscienza che la scrittura del sorgente dei virus è la prova più alta nell’arte della programmazione. Agli occhi di un non addetto ai lavori quelle stringhe di testo appaiono senza significato e senza importanza. Salvo poi attendere, terrorizzati, l’arrivo dell’ultimo virus. Ma se il codice sorgente è un testo, e non c’è dubbio che lo sia, è a partire da quest’aspetto della questione che dovrà in definitiva giocarsi la partita.” La programmazione, così, come ogni altro tipo di scrittura, porta alla ribalta e rende validi criteri come eleganza, proporzione, efficacia e perfino bellezza, presentandosi come un linguaggio creativo a sè stante, e come una stimolante ipotesi di “avanguardia” contemporanea.
Non un’arte che si serve della tecnologia, ma una vera e propria “arte della macchina”, un linguaggio ormai maturo e pronto a generare una propria, possibile estetica: l'”estetica del codice sorgente”.
All’interno del Padiglione della Repubblica di Slovenia sarà possibile leggere il codice sorgente di “biennale.py” e testarne il funzionamento su un computer infettato. Durante i giorni d’apertura della Biennale compariranno inoltre migliaia di t-shirt con stampato il “testo” del programma, passando così al contagio “umano”. Il virus/opera d’arte sarà in vendita, a disposizione di galleristi e collezionisti di larghe vedute. Gli autori non hanno dubbi: “Acquistare un virus informatico è forse uno dei più eccitanti investimenti economici oggi realizzabili”.
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Valentina Tanni
[exibart]
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