Luoghi più o meno definiti, contesti e scenari che segnano un punto privilegiato dell’universo in cui i personaggi si muoveranno per dare vita ad un racconto, all’eterna illusione di una realtà virtuale fatta di immagini! Per questo ha senso indagare il rapporto tra architettura e cinema, operazione non nuova, ma rinnovabile continuamente visto che l’immaginario collettivo è composto da oggetti e scenari suggeriti sempre più spesso non solo dalla pellicola ma dai media in generale. Come ignorare, infatti, che l’architettura, intesa come spazio organizzato che può essere quindi via via urbano, edilizio, domestico, è sempre più spesso sfondo pubblicitario o contenitore per videoclip musicali ? L’ambientazione di questi cortometraggi con fortissima carica comunicativa con sempre maggior frequenza si appropria di interni rigorosi, superfici bianche, lisce, eteree, gioca con i riflessi del vetro, con le linee pulite di ispirazione modernista e purista, con stanze vuote, arredi poveri e apparentemente casuali, in cui sovente troneggia l’oggetto del desiderio, ciò su cui si deve concentrare l’attenzione, o in cui la gente si muove come in vetrina, come accade per il recente video della canzone Dancing in the moonlight dei Toaploader. Per non parlare di luoghi metafisici come l’Eur a Roma, che Scaglione nel recente saggio ha definito “luogo atopico, sospeso nel tempo […] con ambiti in cui il silenzio è la cornice ideale alla forma degli edifici e delle piazze”, e che è stato il set di almeno tre o quattro recenti spot pubblicitari.
Sono molti gli ambiti in cui l’architettura entra di forza per affermare non tanto la sua rinascita, ma la sua necessità: dove l’uomo vive, necessariamente il contesto circostante si costruisce e diventa architettura. Se negli spot ciò che si vuole comunicare non è il valore del luogo ma dell’oggetto nel cinema avviene il contrario: l’azione si svolge in un determinato spazio, contesto, realtà fisica che non è semplicemente una quinta teatrale, ma un’entità che può vivere di vita propria, che spesso agisce e interagisce con i personaggi della storia. La recente Venezia di Pane e Tulipani non è semplicemente uno sfondo: la protagonista vi arriva con un certo habitus mentale che poi modifica perché il genius loci la condiziona pesantemente. Allo stesso modo, per restare in Italia, la Genova di Ovosodo, la Toscana di Pieraccioni, l’anonima periferia italiana de Il Mostro, sono protagoniste delle vicende che i rispettivi film narrano, molto più della Roma di Caro Diario di cui tanto si è parlato, indagata con semplice sguardo panoramico interesse turistico. Tanti film quanti luoghi, interni o esterni, ma tanti che solo in ambito italiano si potrebbero stilare mappe, redarre guide turistiche e organizzare visite guidate.
A Venezia il nostro occhio di architetti cercherà di scoprire quale significato il contesto ha nell’immaginario collettivo contemporaneo: la città ad esempio è stata via via il luogo della mondanità, della solitudine, dell’anonimato, della perdizione, contro una “campagna” a volte bucolica, a volte bigotta e cinica. La tanto conclamata città del terzo millennio sarà ospitale o costringerà i nostri eroi a chiudersi nel loro piccolo ambiente domestico? Con curiosità ed interesse ci apprestiamo a dare risposta all’enigma.
Francesca Pagnoncelli
[exibart]
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