«L’istinto e il tatto delle ragazze hanno sempre inseguito la bellezza pura. Quando affermano che un adulto è brutto, innanzi tutto rivelano la loro reazione fisica nei confronti di un corpo, di un respiro, o di una voce […] Il modus vivendi delle ragazze può apparire negativo, sgradevole, presentato con durezza e attraverso elementi kitsch, ma è in questi tratti che vorrei rinvenire il futuro positivo della città del ventunesimo secolo»(1)
Al tema proposto dalla settima Biennale di architettura in corso a Venezia “Less Aesthetics more ethics” il Giappone risponde con l’allestimento di uno spazio di grande respiro formale. “Carino” (kawaii) è l’aggettivo più frequente che caratterizza il mondo delle ragazzine per identificare abiti accessori arredamento cancelleria, diventando ben presto sinonimo di “feticcio”. Questo termine indica una “profonda inclinazione verso le cose” che diventa attitudine ad usarle in un certo modo, connotando universi intimi, ed è tale rapporto di intimità estrema-inclinazione all’uso ad assumere quell’espressività che le rende “gradevoli”.
“Loose socks”, lunghi e spessi calzini “scesi” ad hoc, Tamagocchi, gioco digitale e Purikura, istantanee adesive… sono alcuni dei nuovi leggeri piccoli e trasportabili articoli per ragazze che disegnano la “loro” città.
Questo, credo, possa anche essere il tema conduttore per alcune riflessioni sull’esposizione di architettura a Venezia, per selezionarne alcuni aspetti emersi che fanno riflettere sul futuro della città, degli spazi da vivere, delle architetture da vivere. Non si tratta allora di mettere da parte l’estetica a favore dell’etica (etica ed estetica in architettura sono unite dallo stesso comun denominatore, ossia rendere un “favore” al senso dell’artificialità condizionato dai pensieri umani), ma di cogliere quanto di etico può esserci in alcuni fenomeni “estetici” che oggi caratterizzano il divenire urbano.
Un punto essenziale è proprio quello dell’artisticità del proliferare di atteggiamenti che ne configurano azioni e ripetizioni sempre più marcate, come questo mondo leggero di oggetti trasportabili che le ragazzine tengono dietro i loro volti “senza radici”, le loro espressioni ancora “vergini”, in mostra alla Biennale. È la sovrapposizione di figure e “specificità” al femminile che connotano l’installazione: il brecciolino bianco dove inciampare, gli indumenti di Tsumura per trasportare i propri piccoli, le foto di ragazze scattate da Van Meene…
«Le ragazze stabiliscono nel corpo l’unico sostegno esistenziale, vagano, fluttuano. Senza cognizione del limite tra interno ed esterno»(2)
Patrizia Mello
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