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Taccuino* 9 settembre 2000 | 57. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica | Venezia, Lido

di - 10 Settembre 2000

Gli occhi tristi dell’Europa
Da architetti, lo avevamo anticipato, avremmo posato gli occhi sul materiale proiettato. E da architetti, bada bene, non da cinefili o critici, proviamo smarrimento. Dov’è la ricercata “sostanza architettura” nel cinema?
Niente auspicate visioni di città future, niente spazi o luci particolari per scenografie architettoniche da poter raccontare, niente scandagliamenti su metropoli.
Tutto si riduce ad un pulsare secondo i ritmi di quella nevrotica metropoli che è dentro di noi, che non è necessario rappresentarla perché ne siamo intrisi, succubi; la grande marea che detta i valori della nostro essere “umani”.
E’ il caso di alcuni interessanti film osservati, quali “la fauté a Voltaire”, “La virgen de los sicarios”, “Suspicious River”.
Su ognuno di questi personaggi la massa urbana non è mai presenza diretta ma è il terzo invisibile, l’interlocutore interiore del soggetto/personaggio, la causa/matrice dell’evento.
Ma oltre il solito rappresentare di un’umanità sottoposta a depressione a causa dell’indifferenza, malata di ansie multiple, confusa mentalmente, tendente alla violenza gratuita, al sesso gratuito, insomma, alla catarsi da fine millennio, il cinema, quale visione ci regala?
Non è certo obbligo morale dover concepire su un piano estetico od etico ambienti che rompano con la solita prassi visiva del caos metropolitano.
Ma è nelle potenzialità del cinema, esattamente come in quelle dell’architettura sognata, della pittura sognata.
Venezia conferma ancora la sua matrice euro-asiatica nel conferire importanza a prodotti di un certo taglio intimista.
L’epopea umana si vive alla Joyce, dentro se stessi, spettatori di quell’impotenza nel cambiare lo stato delle cose, prigionieri di quella rete che si chiama vita. Introversione ormai consolidata, tipica di quel cinema francese che “governa” la tendenze veneziane.
In più, se vogliamo essere maligni, come difendere dai possibili stimoli di un prodotto diverso questo compiaciuto brodo di pato-psicologie umane?
E’ semplice premiando Clint Estwood o allontanando Besson.
Sono due modi identici per alienare qualcosa e quindi renderla non dialogabile.
Eppure non mi sono mai sentito tanto unito alla splendida platea che gremiva il Palagalileo quanto nel emettere un sonoro “Bravo!” verso Woody Allen che viene colto da un sonno fisiologico durante una rappresentazione di teatro sperimentale.
Cara Venezia ti scrivo, l’anno prossimo fai una retrospettiva di Fritz Lang,
di Ridley Scott, di Asimov.
Proprio tu così estranea al flusso del tempo e quindi libera di guardare, suggerisci stimoli alle visioni di un futuro che verrà.

Francesco Redi

[exibart]


La scelta di constatare…
Da una fuga inizia questo film del giapponese Masato Ishioka presentato a Venezia nella sezione Settimana della critica. E’ una fuga che si intuisce, che viene suggerita, di due adolescenti amanti pronti a tentare la fortuna in una grande città. La città resta anonima,potrebbe essere un dove qualunque, ed è uno sfondo unico ed omogeneo che accompagna i due personaggi nella loro ricerca di un lavoro come quinta teatrale in continuo movimento. La tensione, il disagio, le paure dei due giovani si intuiscono fin dall’inizio: alla prima fuga se ne sovrappone da subito una seconda, quella dal vuoto e dallo sgomento interiore che una realtà metropolitana può infondere. La seconda fuga è quella che riporterebbe i protagonisti a casa, in un ambito limitato, povero e senza prospettive, ma pur sempre accogliente e sicuro. Nel film viene riproposta più volte la sosta dei giovani davanti alla biglietteria della stazione: solo un treno per tornare a casa !

La lotta con il mondo, con la realtà degradata, con la società del denaro, inizia immediatamente e subito il mercato del sesso in tutte le sue varianti e sfumature fagocita i due giovani che, separatisi per cercare lavoro, si ritroveranno sempre più di rado e consumeranno il proprio dramma affiancati da sconosciuti.
In questa pellicola la denuncia di quelle che sembrano essere delle pratiche abituali e alla moda nel Giappone di oggi non è fatta ad alta voce ma presentata come inevitabile traguardo di giovani senza valori e senza coscienza morale, che scelgono questo mondo per guadagnare facilmente e velocemente, magari per potersi comprare capi d’abbigliamento firmati da stilisti italiani. I pochi pianti di vergogna e di pentimento vengono dimenticati in fretta e il cammino verso la prostituzione viene ripreso senza troppi problemi dalla protagonista come da altre. In un tale degrado, in cui comunque resistono sentimenti di solidarietà, e non certo di amicizia o amore, con chi è nella stessa barca, la donna è la merce, la fonte di guadagno, e vale tanto quanto è vendibile il suo corpo, per intero o a pezzi, per fotografie e video per adulti o per vendersi al migliore offerente. Dietro di loro gli uomini, adescatori, protettori e sfruttatori, che le accompagnano ovunque, che garantiscono per loro, che le piazzano sul mercato. A fare da sfondo a tale degrado vi è la città, la città fatta di esterni e di interni. Gli esterni sono strade, angoli, incroci, quinte edilizie che si susseguono e in cui nulla si distingue se non la sensazione di generale povertà, sporcizia, abbandono. Gli esterni sono anche la metropolitana e le zone ad essa limitrofe dove si fissano appuntamenti per scambio di donne e denaro, reti metalliche, scale ripide, graffiti sui muri, rumore dei treni sui binari.
Gli interni sono i luoghi in cui si consumano i drammi personali e i peccati sociali: uffici, abitazioni, locali in cui il sesso è merce, in cui il denaro può comprare qualunque cosa a partire dalla dignità umana. Le luci, più o meno soffuse, ma ancora di più gli arredi, le moquettes, i divani, i tavoli che fanno pensare allo stile italiano degli anni sessanta, pezzi di recupero e di scarto, costituiscono la scena in cui si alternano e si succedono le nuove prede del mercato del sesso.
Complessivamente, seppur girato senza alcuna pretesa tecnica, questo film giapponese fa della lentezza narrativa il mezzo per raccontare la maturazione di un dramma la cui denuncia è lasciata alle immagini e alle situazioni più che alla recitazione dei giovani attori la cui fissità e costanza espressiva vuole probabilmente rappresentare il vuoto che le giovani generazioni d’oggi hanno intorno e dentro di loro.

Francesca Pagnoncelli

[exibart]

Visualizza commenti

  • Caro paolo cosa vuoi dirci? il nuovo luogo è la rete? non ti sembra di esagerare? dacci dei riferimenti, degli indirizzi, o meglio dei url !!

  • Cosa c'era a Venezia di Architettura? Niente.
    Biennale di Fuksas compresa.
    Il nuovo luogo è la rete, sta soppiantando qualsiasi luogo fisico, per efficienza densità di informazioni, etc.
    Ah, quanto ci mancheranno le ragazze...

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