E’ in seguito all’attività di catalogazione promossa dagli enti regionali che si è riusciti ad allestire un evento che ha dalla sua il rigore scientifico su cui sono state imbastite le ricerche e la inedita presentazione di oggetti per solito inaccessibili al pubblico, essendo conservati in edifici sacri fuori dei circuiti turistici tradizionali o sottratti alla vista comune per ragioni di sicurezza e conservazione. Un plauso va fatto sopra tutti alla istituzioni religiose che hanno dimostrato una profonda sensibilità storica e artistica che si auspica sia di esempio a tutte le Diocesi italiane. La mostra muove dalla presentazione di una serie di pannelli che narrano le vicende della storica località di dimora vescovile e dei suoi edifici e uomini più illustri.
E’ una mostra di arte sacra e, perciò, si troveranno gli oggetti che decorano le chiese e che servono al servizio del culto: dai quadri alle statue, dai reliquiari agli argenti, dai paramenti sacri ai codici miniati. Si tratta, per certi versi, di una mostra specialistica, che documenta la vita religiosa della comunità cattolica attraverso i secoli, ma è anche l’occasione di vedere il rito e la sacralità vissuti in modo molto diverso da quello attuale. Una ritualità basata sui gesti, sulla simbologia e la scenografia. Gli oggetti esposti non vanno letti solamente nel loro valore storico-artistico ma, e direi soprattutto, nel loro valore devozionale e sacro. L’opera d’arte sacra vive infatti di questa dicotomia: il suo luogo non è mai il museo o la galleria, ma lo spazio sacro per il quale essa è stata concepita.
Capita così che una Madonnina lignea di scarso valore artistico debba essere necessariamente riletta alla luce di una storia fatta di devozione, preghiera, sentimento religioso: non esiste oggetto più o meno importante, tutto contribuisce a ricostruire l’idea stessa del cattolicesimo e della sua evoluzione nei secoli.
Limitandomi alla sfera artistica (che qui mi compete) segnalerò alcune importanti tele del manierismo emiliano (G. Parolini, S. Azzi, D. Mona, G. Cozza e J. Bambini), nella sua particolare evoluzione fino alla stagione “autunnale”, mutuando il termine da un raro testo edito dalla Cassa di Risparmio, una bellissima statuetta tardo gotica di S. Lucia, alcuni esempi tipici dell’argenteria sacra di botteghe romane e veneziane, dal XVI al XIX secolo. Discreta la scelta dei paramenti sacri dal XVI al XIX secolo. Interessanti il graduale e l’antifonario, rispettivamente del XIII e XIV secolo. Nel complesso, la ricostruzione della religiosità tra ‘600 e ‘800 è ben rappresentata: mancano, purtroppo, esempi di rilievo della grande tradizione emiliana dell’intaglio, mancano i nomi di spicco dell’arte figurativa secentesca e, tuttavia, non bisogna trascurare che qui si espongono esempi di ciò che questa terra ha prodotto e di ciò che questa terra ha conservato, almeno negli intenti.
La mostra non è immune da critiche, anche se va considerato che, iniziative di questo tenore, che pure vanno nelle direzioni degli accordi intercorsi nei tempi recenti tra il Ministero per i BB.CC. e religiose (ricordo solo l’ultimo che concerne la tutela degli sterminati e importantissimi archivi ecclesiastici), faticano a concretizzarsi, specie nei centri minori. Ma non è qui il luogo per trattare dei delicati problemi legati alla necessità di dare maggiore visibilità al ricchissimo e sconosciuto (!) patrimonio ecclesiastico: basti dire che la discussione andrebbe ben al di là dei noti problemi legati alla prevenzione dai furti e alla conservazione.
Per tornare alla mostra, un appunto lo faccio per la mancanza delle traduzioni (almeno in inglese) dei pannelli all’ingresso e dei tag degli oggetti: grave se si considera che la mostra potrebbe con facilità essere proposta anche ai numerosi turisti stranieri. Per quanto concerne i pezzi esposti, mi si consenta (ma la si prenda come un’opinione non suffragata da alcuna prova) qualche perplessità circa la datazione di alcuni argenti, di un paio di dipinti e di un paramento: in certi casi l’amore per la propria terra potrebbe aver condotto a retrodatazioni un po’ frettolose. Termino con un elogio al bel catalogo, costoso per una mostra di provincia, ma il prezzo si giustifica per il ricco apparato fotografico. Ottima l’idea di fotografare i punzoni degli argenti (sollecitata dalle soprintendenze) e anche la schematizzazione dell’andamento della trama e dell’ordito nei paramenti.
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