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Dal 14.V.2000 al 4.VI.2000 | Sedimenti della memoria | Pieve di Cento (bo), Museo d’arte delle generazioni italiane del ‘900 “G. Bargellini”

di - 18 Maggio 2000

L’artista si serve della classica tecnica dell’olio su tela, in linea con le istanze di quegli artisti che, nell’ultimo scorcio del secolo XX, hanno riscattato la tradizionale tecnica pittorica come strumento idoneo a rappresentare l’età contemporanea, il gruppo transavanguardista in testa.
Zamboni dimostra che la ricerca tecnica e la sperimentazione stilistica possono produrre con successo suggestioni che vengono, in genere, affidate a materiali e supporti non tradizionali. In particolare oggi si è compiuto l’affrancamento della fotografia dalla sfera delle arti minori, ricetto nel quale era relegata credo, a causa della sua vocazione originaria di strumento di registrazione documentaria del mondo reale, privata dunque di vera attitudine artistica. L’arte si è servita anche in passato di questa tecnica: la Body Art e la Land Art documentarono performance e opere con foto, che però acquistavano dignità artistica solo in conseguenza dell’evento rappresentato, come traccia dell’atto creativo. Oggi invece le tecnologie fanno, della fotografia, uno strumento autonomo con cui l’artista produce arte senza che questa preesista allo scatto dell’otturatore.
La premessa sulla fotografia serve all’introduzione dell’opera di Zamboni perché appare evidente che l’artista miri al raggiungimento di effetti a quella assimilabili (specie quelli di recenti generazioni di artisti) ma, e qui sta l’eccezionalità del procedere artistico, non come mimesis della tecnica fotografica documentaria, come ebbe a fare l’Iperrealismo, ma dello strumento autonomo e creativo. Il pittore descrive scorci metropolitani come farebbero negativi in bianco e nero di cui non sia volutamente realizzata la corretta messa a fuoco. Ne escono immagini di grande suggestione, in taluni casi forse un po’ leziose, a raffigurare vie e figure sconosciute, remote, quasi oniriche. Ma è inevitabile che la sintesi cui giunge Zamboni debba essere giudicata legittima nel raffigurare simbolicamente l’atteggiamento distratto dell’uomo contemporaneo che per quelle vie passa ma non si sofferma, che guarda ma non vede, affaccendato dai pensieri e dalle proprie egoistiche attività.
Zamboni rapisce dalla propria mente immagini fugaci, indefinite, e le ferma sulla tela con l’obiettivo pittorico. Ora lo spettatore vorrà soffermarsi cercando inutilmente di distinguere i particolari, interrogandosi sulla presenza di quei fantasmi scuri, fusi con gli oggetti inerti. I toni del bianco e del nero sono smorzati dalle molteplici gradazioni del blu, a formare effetti monocromi L’osservatore sarà spinto ad aguzzare la vista per interpretare le torbide scene, specie quelle delle tele microscopiche, quasi una riedizione delle capitali dei codici miniati. Ma se in quelli si manifestarono la raffinata minuzia dei particolari disegnati e l’abilità cromatica degli artisti, qui si mira propedeuticamente a reinsegnare ad osservare; più in là si potrà, forse, re-introdurre una disciplina iconografica. E’ un invito all’uomo a rallentare, ad osservare gli accadimenti quotidiani e a non trascurare il consueto, vittima del fascino delle false immagini dai colori squillanti della pubblicità e dei mass media.
Il Bargellini ha un po’ furbescamente giocato sul facile ammiccamento della pittura di Zamboni per blandire il numeroso pubblico. Avremmo voluto che, in occasione dell’inaugurazione, qualcuno si fosse preso la briga di introdurre la visione delle opere. Alla presentazione è stato preferito il ricco buffet che ha rischiato, per conto mio, di spostare l’attenzione dall’evento artistico a quello pubblico, conviviale e godereccio, invalidando il messaggio dell’artista.


Mostra: “Alberto Zamboni. Viaggio”, Pieve di Cento (Bo), Museo d’arte delle Generazioni italiane del ‘900 “G. Bargellini”, via Rusticana 1, dal 14/05/2000 al 04/06/2000. Orari: 10.00-18.00. Chiuso il lunedì. Tel. 051/6861545 Fax 051/6860364 E-mail museo.bargellini@ova.it

Alfredo Sigolo

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