Ancora per pochi giorni (fino al 1 luglio) potete visitare la mostra su Marianne Werefkin, un artista lituana praticamente sconosciuta al pubblico italiano, ma che ha avuto una certa importanza nell’elaborazione teorica delle avanguardie del XX secolo. Infatti nel 1909, contribuisce alla nascita della “Neue Künstlervereinigung” (Nuova associazione degli artisti) a Monaco, novella capitale culturale, rampante rivale di Parigi, dove si era trasferita in seguito alla conclusione degli studi d’arte svolti in Russia. Nella città tedesca, la colta Werefkin era animatrice di un vivace salotto letterario ed artistico, e già nel 1905 scriveva frasi nelle quali reclamava la supremazia del colore sulla forma e l’urgenza di un’arte in grado di restituire la densità dell’emozione dell’artista. Stralci di questi e altri suoi pensieri, attinti dal suo diario, recentemente pubblicato, “Lettres à un inconnu” (Lettere a uno sconosciuto), sono riprodotti in iscrizioni sulle pareti a corredo dei quadri. Sembra anche che alcune riflessioni siano state trascritte nel “Blaue Reiter” (Cavaliere azzurro) di Kandinsky, libro-movimento di cui era stata ribattezzata dai suoi conterranei “levatrice”.
Gli ottanta quadri sono disposti in ordine cronologico: dieci sale che raccontano l’esperienza artistica della pittrice dal suo arrivo in Germania alla morte avvenuta ad Ascona, in Svizzera, nel 1928. Tralasciata è invece la sua precedente produzione russa, presumibilmente più impostata ed accademica. L’unico superstite di questa stagione è l’autoritratto che campeggia all’entrata vicino alla sua biografia, fonte di interessanti informazioni, ma estenuante da leggere. Questa è poi quasi l’unica spiegazione di corredo a questa mostra. Un altro pannello ricorda l’importanza della Werefkin teorica, ma sembra troppo poco per la prima monografica dell’artista in Italia.
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Deve essere una mostra interessante, sono daccordo con anna e con il giornalista.
ciao
Palazzo Magnani organizza sempre mostre interessanti, poetiche e fa scoprire "nuovi" percorsi, perché sconosciuti, alla storia dell'arte. Le pubblicazioni, poi, sono da collezionare.
Un bell'articolo!