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09
dicembre 2009
fino al 10.I.2010 Christian Holstad Modena, Galleria Civica
bologna
Installazioni che mettono in discussione il conformismo americano ed Eraserhead Drawings sulla Passione di Cristo. Per la prima personale italiana, Holstad istituisce un percorso di riflessioni filosofiche...
Prima retrospettiva italiana di Christian Holstad (Anaheim, California, 1972; vive
a New York). Inaugurata in occasione del FestivalFilosofia, la mostra è una co-produzione dell’istituzione
comunale e della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, che insieme si stanno
impegnando per la diffusione dell’arte contemporanea nella città emiliana.
L’allestimento, predisposto dallo stesso artista, cerca di
instaurare un collegamento tra le varie opere, alcune esposte per la prima
volta, altre rappresentative degli ultimi dieci anni della sua poetica.
Una prima sala, ricavata mediante tavole inchiodate, a
costituire una sorta di cappella votiva concepita come anticamera, è riservata
alle dodici tavole dedicate a una personale e contemporanea via crucis. Immagini provocatorie e cariche
di dolore, che nascono da fogli di quotidiani parzialmente cancellati, dove
l’artista lascia a vista brani di titoli e fotografie ricontestualizzate in
scene della Passione.
La povertà del supporto, che si sposa con la preziosità
della foglia d’oro e con un sistema rappresentativo che rimanda alla cultura
classica, crea opere che segnano forse il punto più raffinato dell’intera
mostra e che, secondo il curatore Milovan Farronato, costituiscono “un’anticamera
del paesaggio allucinato che segue”.
La grande sala è infatti contenitore delle installazioni
polimateriche ed eterogenee di Holstad. Da quelle che lo hanno consacrato sulla
scena newyorchese, come Bubble, (David) Life is a Gift del 2003, ispirata al caso di un
bambino costretto a vivere in una camera iperbarica a causa di una grave
immunodeficienza, ai richiami diretti ai Mobiles di Calder, dove l’originaria leggerezza e
mobilità viene caricata di allusioni al mondo del sadomasochismo in insiemi
kitsch e talvolta eccessivi nel loro simbolismo ripetuto ed esaltato, non
immediatamente comprensibile se non accompagnato da didascalie che aiutino a
sciogliere l’intricato senso culturale degli oggetti.
Un’inquietudine da cui scaturiscono elementi di violenza
si coglie in altre installazioni, dove a custodie per racchette da tennis
cucite con tappezzeria barocca si affiancano involucri per armi, maschere che
richiamano gli ambienti dei sadici giochi di potere, grovigli di microfoni
ripetuti all’inizio e alla fine del percorso.
Sono le storie dell’America suburbana quelle che Holstad
vuol raccontare: una società banale e spietata nel suo semplice conformismo,
dove la cultura gay della West Coast viene immaginata e resa in icone che
costituiscono topos diffusi, come nel caso di Big Drag (2004), un’improbabile iena
spelacchiata che divora un fenicottero dal piumaggio rosa.
Il decorativismo del taglia-e-cuci, l’uso di materiale
riciclato e dei broccati creano un diffuso barocchismo che spesso sfocia nel
grottesco, a cui si affianca uno spirito dissacrante e ironico. E non manca la
colonna sonora: aggirandosi fra le installazioni sospese, si ascolta in loop Calvary di Baby Dee.
a New York). Inaugurata in occasione del FestivalFilosofia, la mostra è una co-produzione dell’istituzione
comunale e della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, che insieme si stanno
impegnando per la diffusione dell’arte contemporanea nella città emiliana.
L’allestimento, predisposto dallo stesso artista, cerca di
instaurare un collegamento tra le varie opere, alcune esposte per la prima
volta, altre rappresentative degli ultimi dieci anni della sua poetica.
Una prima sala, ricavata mediante tavole inchiodate, a
costituire una sorta di cappella votiva concepita come anticamera, è riservata
alle dodici tavole dedicate a una personale e contemporanea via crucis. Immagini provocatorie e cariche
di dolore, che nascono da fogli di quotidiani parzialmente cancellati, dove
l’artista lascia a vista brani di titoli e fotografie ricontestualizzate in
scene della Passione.
La povertà del supporto, che si sposa con la preziosità
della foglia d’oro e con un sistema rappresentativo che rimanda alla cultura
classica, crea opere che segnano forse il punto più raffinato dell’intera
mostra e che, secondo il curatore Milovan Farronato, costituiscono “un’anticamera
del paesaggio allucinato che segue”.
La grande sala è infatti contenitore delle installazioni
polimateriche ed eterogenee di Holstad. Da quelle che lo hanno consacrato sulla
scena newyorchese, come Bubble, (David) Life is a Gift del 2003, ispirata al caso di un
bambino costretto a vivere in una camera iperbarica a causa di una grave
immunodeficienza, ai richiami diretti ai Mobiles di Calder, dove l’originaria leggerezza e
mobilità viene caricata di allusioni al mondo del sadomasochismo in insiemi
kitsch e talvolta eccessivi nel loro simbolismo ripetuto ed esaltato, non
immediatamente comprensibile se non accompagnato da didascalie che aiutino a
sciogliere l’intricato senso culturale degli oggetti.
Un’inquietudine da cui scaturiscono elementi di violenza
si coglie in altre installazioni, dove a custodie per racchette da tennis
cucite con tappezzeria barocca si affiancano involucri per armi, maschere che
richiamano gli ambienti dei sadici giochi di potere, grovigli di microfoni
ripetuti all’inizio e alla fine del percorso.
Sono le storie dell’America suburbana quelle che Holstad
vuol raccontare: una società banale e spietata nel suo semplice conformismo,
dove la cultura gay della West Coast viene immaginata e resa in icone che
costituiscono topos diffusi, come nel caso di Big Drag (2004), un’improbabile iena
spelacchiata che divora un fenicottero dal piumaggio rosa.
Il decorativismo del taglia-e-cuci, l’uso di materiale
riciclato e dei broccati creano un diffuso barocchismo che spesso sfocia nel
grottesco, a cui si affianca uno spirito dissacrante e ironico. E non manca la
colonna sonora: aggirandosi fra le installazioni sospese, si ascolta in loop Calvary di Baby Dee.
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marta
santacatterina
mostra
visitata il 14 novembre 2009
dal 20 settembre 2009 al 10 gennaio 2010
Christian Holstad – I confess
a cura di Milovan Farronato
Galleria
Civica d’Arte Moderna – Palazzo Santa Margherita
Corso Canalgrande, 103 (centro storico) – 41100 Modena
Orario: da martedì a venerdì ore 10.30-13 e 15-18; sabato, domenica e festivi
ore 10.30-18
Ingresso libero
Info: tel. +39 0592032911; fax +39 0592032919; galcivmo@comune.modena.it; www.comune.modena.it/galleria
[exibart]
grazie al costo mostruoso di questa rassegna, di cui non si sentiva la necessità (ndr, per oltre due mesi immagine a tutta pagina su La Stampa), Farronato ha fatto saltare il banco della Civica e fatto felice De Carlo