Prima retrospettiva italiana di
Christian Holstad (Anaheim, California, 1972; vive
a New York). Inaugurata in occasione del
FestivalFilosofia, la mostra è una co-produzione dell’istituzione
comunale e della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, che insieme si stanno
impegnando per la diffusione dell’arte contemporanea nella città emiliana.
L’allestimento, predisposto dallo stesso artista, cerca di
instaurare un collegamento tra le varie opere, alcune esposte per la prima
volta, altre rappresentative degli ultimi dieci anni della sua poetica.
Una prima sala, ricavata mediante tavole inchiodate, a
costituire una sorta di cappella votiva concepita come anticamera, è riservata
alle dodici tavole dedicate a una personale e contemporanea
via crucis. Immagini provocatorie e cariche
di dolore, che nascono da fogli di quotidiani parzialmente cancellati, dove
l’artista lascia a vista brani di titoli e fotografie ricontestualizzate in
scene della Passione.
La povertĂ del supporto, che si sposa con la preziositĂ
della foglia d’oro e con un sistema rappresentativo che rimanda alla cultura
classica, crea opere che segnano forse il punto più raffinato dell’intera
mostra e che, secondo il curatore Milovan Farronato, costituiscono “
un’anticamera
del paesaggio allucinato che segue”.
La grande sala è infatti contenitore delle installazioni
polimateriche ed eterogenee di Holstad. Da quelle che lo hanno consacrato sulla
scena newyorchese, come
Bubble, (David) Life is a Gift del 2003, ispirata al caso di un
bambino costretto a vivere in una camera iperbarica a causa di una grave
immunodeficienza, ai richiami diretti ai
Mobiles di
Calder, dove l’originaria leggerezza e
mobilitĂ viene caricata di allusioni al mondo del sadomasochismo in insiemi
kitsch e talvolta eccessivi nel loro simbolismo ripetuto ed esaltato, non
immediatamente comprensibile se non accompagnato da didascalie che aiutino a
sciogliere l’intricato senso culturale degli oggetti.
Un’inquietudine da cui scaturiscono elementi di violenza
si coglie in altre installazioni, dove a custodie per racchette da tennis
cucite con tappezzeria barocca si affiancano involucri per armi, maschere che
richiamano gli ambienti dei sadici giochi di potere, grovigli di microfoni
ripetuti all’inizio e alla fine del percorso.
Sono le storie dell’America suburbana quelle che Holstad
vuol raccontare: una societĂ banale e spietata nel suo semplice conformismo,
dove la cultura gay della West Coast viene immaginata e resa in icone che
costituiscono
topos diffusi, come nel caso di
Big Drag (2004), un’improbabile iena
spelacchiata che divora un fenicottero dal piumaggio rosa.
Il decorativismo del taglia-e-cuci, l’uso di materiale
riciclato e dei broccati creano un diffuso barocchismo che spesso sfocia nel
grottesco, a cui si affianca uno spirito dissacrante e ironico. E non manca la
colonna sonora: aggirandosi fra le installazioni sospese, si ascolta in
loop Calvary di Baby Dee.
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grazie al costo mostruoso di questa rassegna, di cui non si sentiva la necessitĂ (ndr, per oltre due mesi immagine a tutta pagina su La Stampa), Farronato ha fatto saltare il banco della Civica e fatto felice De Carlo