L’immagine che abbiamo di lui è
quella di un uomo scontroso: un Federico Zeri (Roma, 1921 – Mentana, Roma,
1998) distaccato, forse antipatico. La mostra bolognese restituisce un geniale
profeta della storia dell’arte e la sua grande destrezza nell’attribuire
paternità a opere ridipinte, restaurate, smembrate.
D’incanto, alcune gigantografie
della biblioteca di Mentana nella sua villa, il suo museo privato. Il luogo
dove amava farsi ritrarre, e Zeri è lì, seduto, con il bastone, i libri in
disordine alle sue spalle: “
Il semplice possesso di un libro, o il semplice
sfogliarlo, vi fa assorbire parte del suo contenuto”
.Le tappe salienti del suo lavoro. Una
bacheca, dove spicca un saggio, e note
scritte a matita: “
Ignobile cialtronata
tipicamente francese”,
un modo per fissare un giudizio e, magari ritrovarlo. Pur con difficoltà, fra i
quasi centomila volumi della sua biblioteca, che “
avrebbero lentamente
invaso tutti i piani della casa”
. Altri documenti, lettere, critiche, analisi di opere: un ricco,
affascinante itinerario di lavoro. Foto che raccontano di viaggi in Siria, a
Londra, a Orvieto, a Milano
.Ci sono opere intorno alle quali
Zeri ha intelligentemente lavorato per l’attribuzione: un intenso
Volto di
Cristo di
Pietro
Cavallini, due
celeberrime tavole con
Vedute paesaggistiche, capolavori del
Sassetta. Poi, tre dipinti con sapienti
cromie, da un polittico di
Pietro Lorenzetti, abilmente ricomposto da Zeri. E
i documenti, che continuano a raccontare del minuzioso lavoro,
dell’archiviazione di note, raccolte in cartelline.
C’è una video-intervista in cui
Zeri parla di sé, dei personaggi famosi che ha incontrato nel corso della sua
vita, vissuta nella religione dell’arte, innamorato della bellezza e dello
studio, unico compagno della sua ricca solitudine.
A lui si deve la riscoperta di
Donato
de’ Bardi, di cui
sono esposte due grandi tavole.
E un dipinto di
Nicola Filotesio, oggetto di quella ricerca che ha
dato un nuovo volto alla storia dell’arte, contraddicendo dati e
interpretazioni. E due quadri che l’autore attribuisce al giovane
Caravaggio: una tesi che non avrà la stessa
fortuna delle altre.
Più avanti, una singolare opera
pittorica attribuita con dubbio a
Jean Fernandez El Labrador, dove compaiono gigli e rose in
una composizione inusuale. Fu lo stesso Zeri, insieme a Padre Pozzi, a notare
qualcosa di strano e il titolo di
Immacolata Concezione, con cui oggi il quadro viene
identificato.
C’è un blocco di marmi attribuiti
a
Pietro Bernini,
alcuni realizzati, forse, con il contributo di
Gian Lorenzo Bernini e, come immagini da un vecchio
album, ci sono numerose fotografie di opere: preziosa collezione, fra cui la
Gioconda e la
Cappella Sistina.
Infine, la sezione dedicata ai
luoghi perduti, luoghi scomparsi di Roma. Patrimonio artistico, laddove Zeri
diviene voce che grida, per tutelare questa bellezza.
Dopo esser stato vicepresidente
del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali, nel 1998 Zeri riceve laurea
ad
honorem dall’Università di Bologna. Riconoscimento al genio leonardesco, che osserva,
sperimenta, indaga con raffinata intelligenza, con spirito colto e meticoloso. “
Non
seguo alcuna linea,
sono disordinato”,
dirà.
Ma in questo non possiamo
credergli.