Nato a Firenze nel 1946, Sandro Chia, si diplomò all’Accademia nel 1969 quindi si dedicò a numerosi viaggi, in Europa e nei paesi d’oriente. Stabilitosi a Roma nel 1970, aderì alle correnti concettualiste vivendone la parabola discendente negli anni ’70. Tra il 1981 e il 1982 si trasferisce a New York dove riuscì ad imporsi e ad acquisire notorietà internazionale. E’ il periodo in cui venne associato agli artisti del gruppo della Transavanguardia, anche se lui stesso non riconosce al movimento una vera identità e espressione di una volontà collettiva. Attualmente vive tra New York e Montalcino, in Italia, questo artista che ha trovato proprio Ravenna nuovi stimoli per inaugurare una nuova tappa del suo percorso artistico. La frequentazione della capitale italiana del mosaico ha infatti stimolato Chia a confrontarsi con questa tecnica che, a giudicare dalle opere in mostra, si adatta perfettamente alle misteriose e malinconiche figure dell’artista. Egli non si è sottratto di fronte alla possibilità di sperimentare nell’ambito della tecnica musiva, realizzando pannelli e sculture dove le tessere riescono ad esaltare le plastiche figure che tradiscono la memoria della grande figurazione italiana, dal gruppo Novecento in poi.
Diversi i materiali impiegati e una costante: la metamorfosi delle superfici , che si muta da mosaico in pittura, o in crude superfici scultoree sulle quali si alternano alle tessere le ampie campiture multicolori. C’è, nelle figure di Chia, una certa malinconia disincantata; l’atmosfera è talvolta pare di silenziosa attesa che qualche cosa si compia; non è importante cosa, lo sono molto più quegli sguardi lontani. Il genio di Chia è riuscito a caricare ancor più questa sensazione con l’utilizzo del mosaico: le superfici risultano sempre incompiute, le tessere, grazie alla loro capacità di riflettere in modo cangiante la luce, sottolineano alcuni particolari delle opere caricandole di plasticità e colori. Così la sensazione è quella di figure ricomposte, sintetizzate, quasi assistessimo ad una nuova stagione del cubismo.
Nelle sale dedicate alla mostra c’è però anche un omaggio a tutta la carriera dell’artista: oltre ai nuovi straordinari mosaici (ma dovremmo chiamarle opere polimateriche) trovano posto dipinti, carte, sculture in resina o cemento, e perfino la famosa BMW Art Car del ’93. La mostra mi sembra un’ottima iniziativa della città di Ravenna per continuare su una strada già intrapresa diversi anni fa che mira a mettere a confronto l’arte contemporanea con l’antica tradizione del mosaico.
A chi volesse affrettarsi a vedere la mostra prima della chiusura, consigliamo di visitare la splendida pinacoteca comunale. Purtroppo è da osservare che molte delle opere esposte si trovano in cattivo stato di conservazione, in buona parte tappezzate con la carta giapponese per impedire la caduta della pellicola pittorica in attesa dei restauri. In almeno un paio di casi stranamente neppure le opere già sottoposte a restauro ci paiono poter essere giudicate in perfette condizioni.
Concludiamo con una critica neanche tanto velata al personale impiegato alla stessa pinacoteca.
Sinceramente passa la voglia di continuare a scrivere che bisognerebbe dare più lavoro ai giovani quando poi si visita una galleria che risulta, di fatto, completamente priva di sorveglianza perché tutto il personale è impegnato a fare una sorta di chiassoso mercato all’ingresso. Ok, c’era molto caldo ed era tempo di ferie, ma almeno ci siano risparmiate le volgarità (e non scendo in particolari), grazie.
Alfredo Sigolo
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