In un equilibrio dinamico che oscilla tra il piacere fisico e una passionalità dolorosa e castrante, tra trascendenza e appetito sessuale, tra religione e secolarizzazione sacrilega, prendono forma le immagini di Roberta Fanti (Bologna, 1965; vive a Torino).
Le sue sono fotografie laccate e prestigiose, passibili di una molteplicità di interpretazioni, che vanno da una lettura fedele e immediata dell’immagine tangibile, del colore, a volte cangiante e a volte tenebroso, (ma che mai resta indifferente all’occhio di chi lo osserva), ad altre fatte di continui rimandi ed accostamenti mentali. Opere che stimolano alla meditazione, ma che al contempo trasmettono intensità ed energia estremamente legata alla passionalità carnale intrecciata ad elementi corporei, evocativi e simboleggianti altro. È inoltre messo in scena un sottile legame tra oriente ed occidente: ricorrenti sono i riferimenti a riti orientali e a mondi onirici primitivi e ancestrali. Le immagini che la Fanti preferisce incarnano elementi emblematici dell’occidente, del suo sguardo che sembra derivare dal mondo della moda e della pubblicità, ma che assumono un carattere a volte distaccato e controllato, inserito in una trascendenza a tratti religiosa. Minimalista, essenziale, ma anche ingannevole e doppiogiochista, la sua arte raggiunge nell’osservatore il livello istintivo, agisce sull’universo dei desideri e della perdizione.
Closers, il titolo della mostra, sta ad indicare gli innumerevoli accostamenti evocativi, i rimandi che le opere incarnano silenziosamente. L’apparente immediatezza viene smascherata proprio da questi rimandi diretti all’essenzialità umana: dal cibo, al sesso, alla perversione. Sangue, bocche carnose, serpenti, brandelli di corpo umano legati da cinghie nere e borchie.
Ferite, fiori innocenti, fulmini, mani, carne, masochismo e seduzione. Una spirale inarrestabile di colore sgargiante che diventa nero e buio. Dall’attrazione istintiva direttamente si giunge alle nostre paure e alla religiosità che ci serve per farvi fronte. Ed ecco comparire latinismi tratti da tesi sacri e preghiere, quasi per chiedere scusa di tanto desiderio messo in atto, di tanta intensità e passionalità incontrollabile.
La serie The creation incarna un luogo dove l’uomo non ha ancora messo piede, in cui la natura e gli animali senza la contaminazione della complessità umana possono fungere da protagonisti. Nella serie Japanese food, invece , si alterano smaglianti e cangianti trilogie tratte da immagini web sulla realtà nipponica. La trilogia come riferimento alla divina trinità, o semplice accostamento in serie? L’ossessione per il cibo che misteriosamente si trasforma tramite l’uso del colore in attrazione erotica per corpi e bocche incise alla perfezione, scolpite in estatico piacere, che sembrano create apposta per essere desiderate. Il desiderio per la bellezza femminile che muta in un disperato appetito: la donna diventa un oggetto, al pari degli alimenti che le sono accostati, ma senza che questo le crei sdegno o repulsione. Non emerge una critica alla moralità o nei confronti del degrado sessuale legato al corpo femminile. Le immagini non sembrano immischiarsi all’etica sociale corrente, sembrano prendere forma da un contesto con un proprio e indipendente apparato concettuale, che segue altre regole e altri schemi di comportamento sociale. L’attenzione è poi catalizzata da su mano insanguinata, che la Fanti riprende da un’immagine di guerra: un filo sottile che lega la mostra all’attualità, ma che si snoda subito da essa, assumendo una forma quasi sacrale e divina, evocando il martirio e il sacrificio della religione cattolica.
Quell’ottica di immolazione ricorre nella serie Les Pecheurs, con i suoi corpi umani avviluppati tra loro. Il masochismo, la tortura, il bisogno di espiare qualcosa sono tutte immagini collegate a queste fotografie, come momenti di intensa e immancabile penetrazione del bene e del male, senza la possibilità di districare la parte giusta da quella sbagliata. Estensione dal giudizio, per un arte che ci catapulta in un mondo di desideri infiniti, in spirali che convogliano le parti più profonde e dimenticate dell’anima.
giulia cavallaro
mostra visitata il 23 giugno 2007
[exibart]
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