Organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Parma in collaborazione con la Galleria Mazzocchi. Si tratta della prima esposizione personale del giovane artista parmigiano in un luogo pubblico della città.
La mostra, grazie ad una serie di lavori appositamente progettati anche in funzione dei valori architettonici e simbolici dello spazio, si articolerà in tre installazioni ed un dipinto che darà il titolo all’intera esposizione.
L’intenzione, e quindi la volontà dell’autore, è quella d’indagare, attraverso il suo lavoro d’arte, su alcuni temi della vita contemporanea, quali le biotecnologie, l’intelligenza artificiale e il principio d’estinzione, con tutte le problematiche che ne conseguono e che influiscono sulla vita sociale degli uomini, tra cui l’alimentazione, la farmacopea e l’ambiente. Le contaminazioni teoriche e pratiche di queste tematiche, per tutti fantascientifiche fino a pochi anni fa, diventano così per Emanuele Araldi uno stimolo ad investigare, attraverso l’allestimento artistico, su questi temi a lui cari.
La mostra, grazie all’utilizzo di materiali inconsueti e metodologie particolari, come la pratica installativa, l’utilizzo dell’audio e l’invasione dello spazio, si propone di provocare i visitatori per avvicinarli a lavori non legati ad un manufatto artistico prevedibile nella sua forma, ma alla rappresentazione spaziale di un’idea.
Esemplare della cifra stilistica preferita dall’artista, cioè la convivenza tra gli opposti e l’esaltazione dei contrasti, è per l’appunto il dipinto che dà il titolo all’intera mostra: “Oasi”, parola che appartiene ad una sfera semantica positiva e rassicurante, che porta l’immaginazione verso lidi incontaminati ed esotici, ma che qui allude più al suo doppio negativo e cioè al “miraggio”, all’impossibilità di risolvere una situazione, o meglio alla messa in scena di una simulazione, e quindi al sovvertimento del dato reale. E proprio da questo principio d’irraggiungibilità parte Emanuele Araldi praticando coscientemente un metodo di doppia lettura delle cose, che è in atto già nel titolo della mostra. La parola “oasi”, infatti, pur mantenendo il suo significato originale, si trasforma in una sigla, formata da quattro lettere che diventano quattro iniziali di altrettante parole chiave, utili per comprendere meglio l’intero progetto: “O” opportunità, “A” artificiale, “S” sistematico, “I” intenebrare.
Altro lavoro “programmatico”, in questo senso, sembra essere “Unichef”, composto da ben 500.000 puntine da disegno che, liberate dalla loro utilità materiale, diventano struttura interna di un corpo umano, sostituendosi in modo perfetto ai confini plastici di quelli che sono i nostri limiti fisici. In questa installazione la figura umana viene raffigurata in una posizione corporea ambigua, al limite tra l’esercizio ginnico e la caduta a testa in giù, quasi a voler simulare un volo dall’alto che ha provocato la fuoriuscita dagli abiti di un elemento (puntina) innaturale e così carico di significati “altri”.
Nell’opera “Anonimo”, invece, l’artista lavora intorno ai concetti di alienazione e catarsi, inventando un’installazione formata da 64 miniseggiole a dondolo in legno, disposte in cerchio, secondo la classica disposizione delle comuni e dei centri di recupero, nei quali chi ha un problema è obbligato a parlarne con gli altri: un cerchio di sedute abbandonate, dentro al quale quattro fonti luminose colorate ad effetto stroboscopio, simile a quello dei locali notturni, scandiranno attraverso la luminescenza, in modo ipnotico e sempre uguale, un tempo musicale, non ascoltabile, però, dal visitatore.
Chi visiterà la mostra potrà pertanto vivere un “effetto sorpresa” nel quale saranno i lavori nella loro complessità e nei loro rimandi simbolici a rafforzare le convinzioni personali di chi guarda o a modificarle del tutto.
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