L’innamoramento e la bramosìa edonistica verso l’oggetto sottratto da quel tesoro che è il mercatino delle pulci –teca, ostensorio, crocefisso, frammento di bambola, giocattolo infeltrito, cartiglio, tassidermia, piuma, scarpa, chincaglieria, strumento chirurgico, ossa, ferraglia, bouquet di plastica, stoviglia, suppellettile astrusa, feticcio, manichino, tavola entomologica– può dirsi essere la principale essenza di tutta l’opera di Daniel Spoerri.
Per sempre avulso dal ciclo di decadenza e dispersione, l’objet trouvé, l’ubiquo eternamente ripetuto, lo scarto abbandonato, viene nella sua opera a comporre una vasta collezione, una preziosa cloaca, un accumulo casuale e ordinato ad un tempo, in cui, l’irrimediabile eclissi funzionale dell’oggetto, assieme all’eteromorfismo e all’ibridazione, vengono a descrivere una ricerca declinata in ambiti anche antropologici. Ogni oggetto racconta una storia umana sconosciuta e, di volta in volta, in tutta la sua immanente tridimensionalità, si presta a comporre una serie d’assemblaggi tematici.
Ecco dunque esposti per la prima volta i 37,5 metri della Catena genetica del mercato delle pulci, parata carnevalesca di feticci, enorme deposito di “qualunque cosa” dotata di qualsivoglia punctum; le tavole del Carnaval des Animaux, riflessione darwiniana, delirio tassidermico su disegni settecenteschi di Lavater e Le Brun; i famosi Tableau-piège, in cui, tra le altre “cose”, sono “intrappolati” i resti disfatti di certe colazioni consumate in uno strambo ristorante di Dusseldorf (Ristorante Spoerri, naturalmente). E ancora: le tormentate Investigation criminelles, dove l’objet, posto a commento di macabre fotografie criminalistiche di un manuale americano per poliziotti, diviene letteralmente corpus delicti (“un pezzo di corda diventa il capestro di un impiccato”); il reliquiario di 117 acque di fontaine sacrées della Pharmacie Bretonne; la serie delle Histoires de Boîtes à lettres, davanti alle quali è ancora possibile “godere” di quel classico e indimenticabile odore stantio di una tipografia primo Novecento.
Tutto questo e molto altro ancora nella deliziosa cornice di Palazzo Magnani. Un’antologica esaustiva, internazionale ed imperdibile, un’accozzaglia di meraviglie, una babele postdiluviana, una terribile fantasmagoria e un minuzioso racconto esistenziale. Questo il “ mondano” Musée sentimental di “uno dei più grandi raccontastorie del ventesimo secolo”.
Quello privato, intimo e minuto in una vetrinetta del suo soggiorno (vera e propria wunderkammer “in quel” di Seggiano), include ciocche di capelli di tre bambine, morte nel marzo-aprile 1924, a 6, 10, 13 anni, conservate in una cornice preziosa.
patrizia silingardi
mostra vista il 21 marzo 2004
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