Pur non amando le descrizioni che si fregiano unicamente di neologismi (né chi ne abusa) atti a categorizzare e sistematizzare i fenomeni artistici, la cui utilità apparente consiste nell’evitare facili cadute nell’ovvietà, in questo caso farne parco uso sembra quanto mai appropriato. La pratica di
Cristian Chironi (Nuoro, 1974; vive a Bologna), infatti, sposa felicemente la definizione di
fotografia performativa con l’eventuale ma necessaria commutazione in
performance fotografica.
I prodromi di questa tendenza sono ben saldi nel Novecento, anche se non è possibile scorporarli dal loro contesto per unirli in una sola storia, che risulterebbe inevitabilmente parziale e lacunosa. Dalle performance spontanee e inconsapevoli in alcuni scatti di
Depero fino a quelle coscienti e documentate dei body artisti e dei performer negli anni ‘60 e ‘70 (ne ha scritto Claudio Marra in
Fotografia e pittura nel Novecento), la fama di questa particolarità insita nel
fotografico è arrivata fino ai nostri giorni. E, ancora, il
performativo è caratteristica fondamentale nel lavoro del giovane artista sardo sia in via diretta (oltre che fotografo è performer) che in via indiretta, nel suo mettersi in posa di fronte alle fotografie datate.
Per la personale intitolata
GAP, questa metodologia già assodata si commistiona con una ricerca d’archivio che lo porta a confrontarsi con la memoria storica della Seconda guerra mondiale e a comparare strategie militari, d’attacco, contrattacco e ritirata, con più leggeri schemi calcistici. È lo iato il fulcro della riflessione, lo scarto spazio-temporale fra ieri e oggi, tra lo sport nazionale e la guerra, che innesca il meccanismo virtuoso della comprensione. Tanto più attenta è la lettura dei documenti, tanto meno imprecisa può essere la loro decodificazione e comprensione. Il ritocco digitale che ridisegna e ricolora le mappe tattiche della corsa partigiana e della rincorsa tedesca come lavagnette da bordo campo è un cortocircuito concettuale.
Di fronte, le foto “rifotografate” in cui l’artista in prima persona si catapulta nello spazio e nel tempo, rendendosi partecipe di una vita diversa, non sono altro che il tentativo di afferrare un momento già trascorso. Il ricordo, la partecipazione si accostano, con la leggerezza dell’ironia, al revisionismo che oscura e cancella il passato non ammesso dal presente. Ed è solo così che l’inno della Champions League può diventare colonna sonora degli scatti aerei di paesaggi bellici.