“
Nuovo saltimbanco dell’anima”: è così che l’amico, nonché curatore della mostra,
Nanni Balestrini ricorda
Corrado Costa (Mulino di Bazzano, Parma, 1929 – Reggio Emilia, 1991). Le opere esposte alla Galleria San Ludovico, in occasione della V edizione del Parmapoesia Festival, dimostrano l’originalità dell’artista e la sua personalità ricca di sfaccettature, che ne hanno fatto un degno rappresentante della poesia e dell’arte visiva della seconda metà del Novecento.
Costa ha fatto parte del Gruppo 63, dove ha avuto modo di condurre ricerche sperimentali che uniscono diverse tecniche, dalla poesia alla pittura, dalla performance all’attività teatrale. Intense sono state le frequentazioni con poeti della neoavanguardia come
Emilio Villa e
Adriano Spatola, nonché le collaborazioni con artisti visivi quali
Claudio Parmiggiani, con il quale ha pubblicato
Blanc, raffinato volume corredato da litografie, e
William Xerra, che ha firmato assieme a Costa il
Flipper per creare poesie giocando.
Dopo la dispersione del Gruppo 63, tra gli anni ‘70 e ‘80 l’artista si dedica alla gestione di una sorta di centro editoriale allestito presso la sua casa di
campagna nel parmense, dove convergono alcuni personaggi a lui vicini e in cui l’esperienza pionieristica si trasforma in un’attività di ricerca multimediale e performativa sulla scrittura e l’oggetto-libro.
Parallelamente e nel corso dei successivi decenni, l’opera di Costa si muove tra i numerosi ambiti relativi alla parola e all’immagine, dando vita a un linguaggio che molto deve alle correnti dadaiste, surrealiste, fino a toccare i principi della patafisica e della grafica fumettistica.
Ma il filo rosso che lega i piccoli schizzi disegnati a china, le installazioni come
Abbeveratoio per farfalle, i collage/décollage, le pubblicazioni (una fra tutte,
Il Mignottauro, in collaborazione con Emilio Villa, del 1971) è un atteggiamento ludico e giocoso, che permette all’autore di affrontare con caustica ironia personaggi stereotipati tanto quanto soggetti religiosi, da un’
Annunciazione a
Cristo restituisce il caos al mondo.
Costante nella sua produzione è l’uso della scrittura, che diventa elemento compositivo d’impronta concettuale, tanto che Eugenio Gazzola scrive: “
Nella centralità del testo – sia esso costituito da una parola o da un’immagine, appunto, o da entrambe – si configura la stessa idea di progetto, di origine e sviluppo, che informa tutto l’arcipelago concettuale americano”.
Una mostra che riesce a donare una sensazione di leggerezza, anche grazie a un allestimento sobrio e funzionale, dove i dettagli – ad esempio le didascalie scritte a matita direttamente sui muri – sarebbero stati apprezzati da un divertito Corrado Costa.