E’ una collezione ignota ai più questa che arriva da Belgrado per la prima volta a Bologna, nonostante la ricchezza e la ricercatezza che la contraddistinguono. Neppure le visite di Carlo Volpe e Federico Zeri, insigni storici dell’arte, si concretizzarono in approfondimenti scientifici o in pubblicazioni di settore.
La raccolta si è venuta formando fra la fine del XIX secolo grazie alla donazione del pittore di origine slovacca Berthold Lippay, che acquistò opere durante il suo soggiorno veneziano (anche se la sua attività di raccoglitore proseguì successivamente, da Vienna, con il contribuito di alcuni banchieri) e si è poi notevolmente arricchita nel 1972 tramite il legato di Djordje e Lala Lu^ci´c-Roki (parte del quale derivava dall’acquisto di opere della vedova dello statista Milovan Milovanovi´c).
Va certo detto che i ben 200 dipinti italiani non sono l’unico vanto del museo, che conta 1100 pezzi circa di ogni provenienza, dal tredicesimo secolo alle avanguardie artistiche del Novecento.
Dopo una collaudata esperienza collaborativa che ha preso avvio con l’esposizione ferrarese Tra le due sponde dell’Adriatico del 1999, la Soprintendenza di Bologna, nella figura di Rosalba D’Amico in stretto contatto con i colleghi di Belgrado, in particolare con Tatjana Bosnjak ha voluto proseguire in questo sodalizio, “per non troncare i fili di una comunicazione allora intrecciati” esportando, seppur temporaneamente, quei capolavori in cerca di ammiratori.
Il percorso si snoda attraverso settori tematici, dai primitivi del XIV secolo (fra cui spicca un’eccellente tavola di Spinello Aretino) giungendo sino al Settecento, dove troneggia per dimensioni, il casalingo Giuseppe Gambarini, già accademico clementino.
Le sorprese non mancano, due Carpaccio (e bottega), un tondo di Tintoretto, Madonna col Bambino e un senatore, una bellissima Artemisia del Padovanino, e ancora Guardi, Canaletto, Magnasco. Su tutti David con la testa di Golia di Nicolas Regnier, giunto a suo tempo a Belgrado con la lusinghiera attribuzione al Guercino.
Ma si deve ammettere che proprio l’aspetto attributivo è quello maggiormente problematico. Alcune opere avrebbero meritato una diversa attenzione di studio, poiché troppo profonda pare la discrepanza fra autografia e didascalia (nonostante pareri autorevoli siano stati espressi da Pierre Rosemberg, Andrea de Marchi, Lionello Puppi e Vittorio Sgarbi).
<A href="mailto:s.questioli@exibart.comstefano questioli
mostra visitata il 28 novembre 2004
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Finalmente una buona recensione di mostre d'arte "antica", che non si limita all'esaltazione incondizionata che spesso riservate a questi appuntamenti...Oltre lo spettacolo si cela spesso l'opportunismo di direttori di musei e critici compiacenti, ed è già una buona politica quella di dubitare di quanto viene esposto (leggi: attribuzioni).
Da Carpaccio a Canaletto.
Ovvero come far male al fruitore.
Non se ne può più di mostre che ingannano il pubblico, anche, e purtroppo quello più culturalmente e artisticamente aggiornato e preparato.
In questa mostra si sono collocati in vetrina due nomi eclatanti Carpaccio e Canaletto e il gioco è fatto.
Ma la cosa scandalosa è che i due Carpaccio in questione sono copie mal riuscite di un pittore di piccola rilevanza.
Per il Canaletto anche un lettore di rotocalchi di serie c si sarebbe accorto che trattasi di una arrischiata, e siamo buoni, attribuzione.
Dalla mostra si esce davvero disgustati.
Si era entrati per vedere opere d'arte che partivano dal Carpaccio e che arrivavano al Canaletto, oppure l'esposizione di una collezione di Belgrado. Si esce con la netta sensazione di essere stati presi in giro. Non si è rispettato il progetto iniziale. Se era il caso allora perché non mettere in chiaro le cose da subito?
Ma quanto è ancora lontana l'onestà del curatore nell'ammettere seriamente e apertamente dall'inizio i suoi fini, i suoi progetti?
Differente il caso di Nicola Spinosa a Napoli, curatore esemplare della mostra su Caravaggio, che finalmente ed onestamente ha chiarito da subito le cose: Caravaggio. L'ultimo tempo. 1606-1610. E l'enorme successo della mostra gli ha dato ragione.
Al contrario di Bologna. Qui invece non si è agito onestamente perché qui è bastato mettere due nomi (per di più falsi) in vetrina, per poi raccogliere il più possibile di danaro, ringrazziare con sorrisi di comodo e chiudere i battenti. Alla faccia del fruitore, si potrebbe dire. Ma a cosa serve tutto ciò? A niente, solo a guadagnare soldi. Al fruitore non resta che tanto amaro in bocca, amaro che sa proprio di una bella fregatura.
Non resta che salire le scale e andare ai veri e autentici tesori della Pinacoteca di Bologna.
Che bella boccata d'ossigeno!!!
Emilio Isolda
Ancora non ho visto la mostra, che, devo dire, dal titolo anche a me attira molto. Mi auguro che le parole che ho letto non siano vere, perchè altrimenti c'è davvero da piangere. Mi meraviglio di tutto questo. Conosco la curatrice per la sua competenza e professionalità, e se riscontrerò anche io la verà "natura" della mostra, ne rimarrò davvero amareggiato. Da napoletano mi pento di non essere andato a vedere la tanto lodata mostra sul caravaggio. Un consiglio, se volete vedere qualcosa di qualitativamente organizzato ed esposto al fruitore, potete visitare la mostra su un'artista che non "attira" come il Carpaccio e il Canaletto, ovvero Elisabetta Sirani...mal considerata dalla critica, ma credo degna di essere valutata di persona.