Il labile confine tra il mondo onirico e le costellazioni del ricordo, la rappresentazione topografica di un tempo immobile, la poetica della natura al centro dell’indagine estetica. Lontano dal
locus amoenus, il contesto idilliaco che connota gli antichi poemi bucolici, l’orizzonte di
Alessandro Tofanelli (Viareggio, Lucca, 1959) spazia verso eteree ambientazioni metafisiche. Luoghi psichici, per lo più inesistenti, luoghi dell’immaginazione, filtrati dai percorsi della memoria – ispirati dai ricordi d’infanzia della campagna toscana – divengono archetipi di stati d’animo nelle loro sfumature più lievi.
Originale sintesi stilistica tra il vedutismo del
Canaletto e la Metafisica di
de Chirico, l’“
impressionismo metafisico” di Tofanelli è caratterizzato essenzialmente da una natura statica, quasi completamente immobile, immersa in una dimensione senza tempo, dove regna l’assenza pressoché totale di qualsiasi forma di vita. Una natura sovente dimenticata nella sua valenza rigeneratrice, spesso violata dall’opera umana, intesa dunque “
come valore non come sembianza”, come ricorda Francesco Mozzetti, sottolineando un commento di Giulio Carlo Argan.
Raffinati chiaroscuri e delicati colori pastello, alternati ai più vivi colori della terra, disegnano paesaggi magici che ritraggono il silenzio, cogliendo l’intrinseca solitudine esistenziale in cui versa l’essere umano. Cascinali isolati, barche appoggiate sulle rive dei laghi, sublimi prati fioriti, rigogliosi cespugli vengono ritratti con sapiente tecnica. Le infinite sfumature del turchese e del verde risultano contrastate dalle intense e prevalenti tonalità dell’ocra, in un gioco di chiaroscuri illuminati da una luce astratta, innaturale.
Eloquente è l’azzurra malinconia ritratta nel dipinto
Il giorno di festa. Una fortezza che circonda un albero frondoso, costruita su un piccolo isolotto, si staglia tra un cielo livido di pioggia e le acque lievemente increspate da un soffio di vento. Un’immagine altamente evocativa, che riesce a universalizzare il suadente sentimento della nostalgia. Sul blu cina che connota il cielo dell’
Attesa spicca la drammaticità di un albero spoglio, che simboleggia la cristallizzazione del tempo. Singolare è il contrasto tra il giallo paglierino del grano e le livide e immote acque grigio scuro, quasi nere nella desolata visione di
Pomeriggio d’estate.
Paesaggi senza passato né futuro che, più che ritrarre il ricordo nella classica accezione poetica proustiana, fotografano l’attimo dell’eterno ritorno dell’uguale, stigmatizzando l’insegnamento fondamentale dello
Zarathustra di Nietzsche. Che sentenzia: “
Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre“; dunque, “
tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse”.
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bhe..non male questi dipinti.