I tratti del volto e le forme del busto sono nascosti tra le pieghe degli abiti, schermati dai contrasti di luce e dall’incedere inquietante delle ombre. Che siano corpi di donna, apparizioni extraterrestri o, persino, manichini truffaldini, non è dato di saperlo.
Le rayografie contemporanee di
Marco Giovani (Pavullo, Modena, 1964; vive a Modena) raccolgono il testimone di una storia dell’arte secolare, in cui il valore della luce è stato reinterpretato di volta in volta per raccontare l’uomo, le sue emozioni, le relazioni complesse con il mondo che lo circonda, la lotta strenua, non sempre vittoriosa, con la natura. Dai fiamminghi a
Caravaggio, dal fotomontaggio a
Man Ray: più la storia dell’arte ha voluto descrivere asperità, misteri e sofferenze, più ha desiderato essere seducente e allo stesso tempo mortifera, più ha reso netti i chiaroscuri e le fonti luminose.
Apprensione e malizia avvolgono, infatti, anche le figure ritratte da Marco Giovani.
La loro identità è preclusa anche all’occhio più attento, le immagini raccontano poco delle loro vite, che sembrano essere imprigionate all’interno di una gabbia di sensazioni oscure. L’alone che le circonda fa pensare all’Oriente, a donne bardate da burqa; lascia intravedere alle loro spalle storie di oppressione, ombre di uomini e paesi dispotici che impediscono alla personalità di queste donne di essere intravista attraverso il buco della serratura che l’artista ci offre.
Tuttavia il titolo del ciclo,
Alien, rimescola le carte e addita il riguardante, includendolo in una società fatta di
noi e
loro, dove “loro” è lo straniero, il nemico, lo sconosciuto; “l’alieno”, appunto.
A riconfermare che il soggetto dell’intero meccanismo sia proprio il “noi” – nel suo rapporto complesso con l’altro – interviene un’installazione site specific inequivocabile,
La Repubblica, intorno alla quale si raccolgono, imperturbabili, le sfingi della diversità. Dal pavimento della galleria, una cappella sconsacrata, emergono senza un ordine apparente le identità numerate che compongono la Repubblica, raccolte nelle pagine degli elenchi telefonici che percorrono la navata centrale, verso un ipotetico altare.
A raccordarne le vite intervengono frammenti della storia più recente, raccontata attraverso i titoli di uno dei maggiori quotidiani d’Italia, che nomina, fra l’altro, l’installazione. La corrispondenza, l’ambiguità fra il titolo della testata e il significato per antonomasia che il termine va ad assumere, identificando il Paese, traccia, attraverso il susseguirsi degli eventi, un cammino cronologico, ne sottolinea i vizi e, con ironia, le contraddizioni.
Compone pezzo per pezzo il mosaico di volti e nomi in ordine alfabetico sulle pagine bianche – cos’abbiamo da raccontare, che società costruiamo – sotto lo sguardo discreto, ma forse divertito, del nemico extraterrestre.