“La maggior parte dei Parmigiani, chierici e laici, uomini e donne, nobili e non nobili, possiede questa caratteristica e maledizione: quella di non essere devoti, ma duri e crudeli contro tutti i religiosi e i servi di Dio, sia locali che forestieri”. Fotografia impietosa per i suoi concittadini, quella scattata da Salimbene de Adam nella sua Cronaca duecentesca, che alla lontana ci richiama alla memoria le tenzoni tra Peppone e Don Camillo consegnate all’immaginario collettivo dalla grande penna di Guareschi. Tuttavia Parma nel Medioevo non fu così “mangiapreti” come il dotto frate vuol farci credere. Fu anzi una città religiosa e devota, in cui trovarono spazio ordini mendicanti, confraternite, opere pie, e che visse una spiritualità in bilico tra la più fervente ortodossia e i più spregiudicati fermenti ereticali. Soprattutto, fu una città raccolta come poche altre intorno alla sua cattedrale, centro focale della vita collettiva, ricettacolo di capolavori artistici, costruita per tutti e con l’aiuto di tutti.
La storia della cattedrale di Parma e della città nel Medioevo emerge con singolare forza dall’esposizione allestita per celebrarne i 900 anni nei suggestivi Voltoni del Guazzatoio di Palazzo della Pilotta. Affiora dalle Bibbie istoriate, dai frammenti di lapidi, dai capitelli brulicanti di mostri e dalle pergamene con il sigillo di papi e imperatori, ma soprattutto dagli oggetti e dalle testimonianze della vita di tutti i giorni, nei bisogni primari come nelle pulsioni affettive sempre uguale, oggi come allora.
È un viaggio affascinate che parte dalla ricostruzione di alcune tombe di epoca longobarda (VI-VII secolo) con il loro corredo per terminare alle soglie del Cinquecento, quando gli storici “chiudono” il Medioevo per aprire, sull’onda delle scoperte geografiche, le porte al Rinascimento e dunque
Diciamolo subito. La mostra di Parma, fedele alla lezione di Jacques Le Goff (già padre spirituale, sempre nella città ducale, della rassegna Il Medioevo Europeo allestita nel 2003), non vuole focalizzare l’attenzione sull’histoire événementielle, la storia dei grandi eventi e dei grandi uomini, ma ricostruire la vita materiale della gente comune nei suoi vari aspetti, demografici, economici, di costume. Una storia, insomma, fatta di piccole cose, di nascite e di morti, di contadini e di mercanti, di compravendite di terreni e testamenti, testimoniata da documenti che si possono osservare poco lontano, a Palazzo del Vescovado (piazza Duomo), nella mostra Notai a Parma. X-XX secolo (a cura di Ada Gigli Marchetti, catalogo Skira).
Ecco allora che invece dei capolavori artistici (come la Deposizione di Benedetto Antelami, peraltro visibile, col resto, nella cattedrale) e accanto ai diplomi di papi e imperatori (come i privilegi di Lucio II e Pasquale II e gli atti di Enrico IV e Federico II), in esposizione troviamo zappe e coltelli, chiodi e chiavi di ferro che ci parlano di un “piccolo mondo” agricolo e artigiano in cui il tempo era scandito dal ritmo delle stagioni e dal suono delle campane, come doveva essere, ad esempio, nella curtis di Fraore, dipendente dal monastero parmense di Sant’Alessandro, una delle tante dell’epoca. Troviamo ciotole e pentole e boccali che ci restituiscono -a volte non senza qualche concessione “civettuola” alla decorazione, spia di una condizione di vita più agiata- il “sapore” della vita di tutti i giorni, della gente comune come del vescovo o del conte. Ci sono turiboli, coppe, croci, reliquari, mitre e piviali a parlarci della vita religiosa del tempo, con i suoi riti e le sue simbologie. E ci sono i pezzi per il gioco degli scacchi in avorio del XII secolo, che portano nella nebbiosa pianura un pizzico d’oriente, fragranze di Persia e di mondi lontani.
Suggestiva la scelta di ricostruire, tramite installazioni multimediali realizzate da Studio
Tra i reperti di maggiore impatto figurano forse quelli appartenenti al ricco corredo funebre di una donna sepolta agli inizi del VII secolo, in piena età longobarda, nell’area che oggi si trova in Borgo della Posta. Venuti alla luce nel 1950 durante gli scavi per la realizzazione della centrale termica della Questura, la splendida fibula a disco, i due anelli, la guarnizione di cintura, i resti di una collana, la crocetta d’oro e il bacile di bronzo che accompagnavano l’ignota dama nel suo ultimo viaggio furono poco romanticamente gettati in una discarica e recuperati solo per miracolo. Per alcuni studiosi apparterrebbero alla figlia di re Agilulfo, morta nel 604, a Parma, di parto. Un piccolo evento, quasi trascurabile certo, nel dipanarsi millenario della Storia. Ma che, proprio per il suo carattere drammatico e privato, ci fa sentire questi antichi Parmensi a noi molto, molto vicini.
elena percivaldi
mostra visitata il 18 novembre 2006
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