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16
febbraio 2009
fino al 14.III.2009 Agostino Arrivabene Bologna, Galleria Forni
bologna
Cieli di un azzurro terso riportano al tempo dei miti antichi, quando gli dei interferivano col destino dei mortali. Le rovine di un colonnato corinzio sussurrano canti in pentametri, mentre tematiche funeree intridono gli oli. Un omaggio alla pittura del Seicento...
Il percorso che si snoda attraverso trenta dipinti di Agostino Arrivabene (Rivolta d’Adda, Cremona, 1967; vive a Gradella di Pandino, Cremona) racconta la maestria pittorica di un artista che ama il linguaggio simbolista di Böcklin e si fa sedurre dai giochi di luce rembrandtiani. Alla base di queste opere vi è un soffuso romanticismo cucito insieme alla necessità di non raffigurare il paesaggio per quello che è, quanto piuttosto di renderlo ancor più emotivamente coinvolgente con accorgimenti pittorici e velature trasparenti.
L’Isola con tifoni si articola sulla tela strutturalmente divisa a metà tra cielo e mare, entrambi speculari al di là di quelle nubi che scivolano dolcemente verso terra, a nascondere il paesaggio, al seguito di un sentore romantico ottocentesco. Ma vi è qualcosa in più trasmesso da queste opere: un inno alla vita, alla felicità, alla speranza. Un inno d’amore nei confronti della bellezza della natura che racchiude in sé il messaggio divino, ma non turba l’intimo dell’uomo, piuttosto lo pone in attesa. Quello sguardo sull’infinito si concentra poi sulla potenza di un cielo in tempesta che si manifesta nel dio, incarnatosi in un fulmine mentre cade sulle rovine memori di uno splendore antico nel Miracolo al Foro di Augusto.
Vi è quindi un dualismo accentuato in queste opere, dove il bene e il male si affrontano e si scontrano di continuo, ma allo stesso tempo sono in grado di convivere. La brutalità di Zeus che si appropria della virtù della giovane Europa viene evocata dallo sguardo venato di rubino del potente toro, per racchiudere nella stessa figura la forza della divinità e l’irrazionalità dell’animale, mentre il moto perpetuo del mare si congiunge con le nubi.
Non è una pittura schizofrenica, piuttosto una pittura che racconta la vita attraverso il mito, la morte attraverso una nicchia che digrada nell’oscurità, l’amore in una corona di fiori, la bellezza nei colori delle ali di una farfalla. Così dall’incavo oscuro sborda una composizione floreale, un omaggio a Saskia, compagna di Rembrandt, che nell’ultimo alito di vita ha custodito in sé il mistero di Eros e Thanatos. Lo straziante dolore procurato dalla perdita della persona amata è percepito epidermicamente da Arrivabene, che in questo momento di intima sofferenza volutamente coinvolge lo spettatore.
Utilizza quindi una nicchia, capace di creare uno iato sulla parete in cui scava in profondità, ma la cui concavità non ci è dato conoscere. È l’affermazione di uno spazio “altro”, in cui posiziona dei fiori, creando un trompe l’oeil grazie ai petali appassiti posti al di là della cornice che rompe ogni distanza tra spazio reale e irreale della tela. Si assaporano in questo modo gli stessi effetti pittorici dei bodegones di Juan Sánchez Cotán o addirittura la luminosità secentesca di Caravaggio.
L’Isola con tifoni si articola sulla tela strutturalmente divisa a metà tra cielo e mare, entrambi speculari al di là di quelle nubi che scivolano dolcemente verso terra, a nascondere il paesaggio, al seguito di un sentore romantico ottocentesco. Ma vi è qualcosa in più trasmesso da queste opere: un inno alla vita, alla felicità, alla speranza. Un inno d’amore nei confronti della bellezza della natura che racchiude in sé il messaggio divino, ma non turba l’intimo dell’uomo, piuttosto lo pone in attesa. Quello sguardo sull’infinito si concentra poi sulla potenza di un cielo in tempesta che si manifesta nel dio, incarnatosi in un fulmine mentre cade sulle rovine memori di uno splendore antico nel Miracolo al Foro di Augusto.
Vi è quindi un dualismo accentuato in queste opere, dove il bene e il male si affrontano e si scontrano di continuo, ma allo stesso tempo sono in grado di convivere. La brutalità di Zeus che si appropria della virtù della giovane Europa viene evocata dallo sguardo venato di rubino del potente toro, per racchiudere nella stessa figura la forza della divinità e l’irrazionalità dell’animale, mentre il moto perpetuo del mare si congiunge con le nubi.
Non è una pittura schizofrenica, piuttosto una pittura che racconta la vita attraverso il mito, la morte attraverso una nicchia che digrada nell’oscurità, l’amore in una corona di fiori, la bellezza nei colori delle ali di una farfalla. Così dall’incavo oscuro sborda una composizione floreale, un omaggio a Saskia, compagna di Rembrandt, che nell’ultimo alito di vita ha custodito in sé il mistero di Eros e Thanatos. Lo straziante dolore procurato dalla perdita della persona amata è percepito epidermicamente da Arrivabene, che in questo momento di intima sofferenza volutamente coinvolge lo spettatore.
Utilizza quindi una nicchia, capace di creare uno iato sulla parete in cui scava in profondità, ma la cui concavità non ci è dato conoscere. È l’affermazione di uno spazio “altro”, in cui posiziona dei fiori, creando un trompe l’oeil grazie ai petali appassiti posti al di là della cornice che rompe ogni distanza tra spazio reale e irreale della tela. Si assaporano in questo modo gli stessi effetti pittorici dei bodegones di Juan Sánchez Cotán o addirittura la luminosità secentesca di Caravaggio.
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dal 17 gennaio al 14 marzo 2009
Agostino Arrivabene – Metamorfosi
Galleria Forni
Via Farini, 26 – 40124 Bologna
Orario: da martedì a sabato ore 9.30-13 e 16-19.30
Ingresso libero
Catalogo con testi di Flavio Arensi e Vittorio Sgarbi
Info: tel. +39 051231589; fax +39 051268097; forni@galleriaforni.it; www.galleriaforni.it
[exibart]
Ma quanta letteratura per trovare significati in una pittura vecchia e copiata. Ma conoscete il pittore norvegese Odd Nerdrum (www.nerdrum.com) dal quale Arrivabene ormai scopiazza senza ritegno ormai da anni, spacciando per sue invenzioni altrui, sconfinando nel plagio vero e proprio. E quando non copia da Nerdrum lo fa da Maurizio Bottoni. Una mostra noiosa e penosa di un pittore furbetto che cerca di spacciare per sua una pittura e idee di altri.
Quale è il problema Vittorio Cervi (aretino)? Non t’ha pagato una parcella? ahahahah…
(questi critici “cornuti” diventano di un cattivo!)
Fortunatamente chi conosce la pittura di Agostino Arrivabene, di Odd Nerdrum e di Maurizio Bottoni sa che Agostino Arrivabene non copia proprio nessuno.
Cervi, lei è patetico a detta di tutto il mondo telematico dell’arte!!!
Più che patetico Cervi è disinformato e in malafede. Non pochi pensano che dietro il nomdeplume ci sia in realtà altro… (che fa sto Cervi? dove lavora, che mostre ha fatto, che libri ha scritto? sa fare altro oltre che insultare?)
la cosa più triste, tuttavia, è l’accanimento verso un artista serio che ha l’unico torto di essere bravo (benché contestabile, o criticabile, ma in modo intelligente, non con l’invettiva).
Questo modo livoroso di attacare gli altri è un pò – mi si passi il termine non mio – da critico schiappa (definizione di vittorio sgarbi: bello vero citare sgarbi per far male ad altri?! mi viene in mente un articolo scritto da un critico di provincia che ha usato lo stesso metodo per ferire una ben nota galleria). Il tutto, comunque, è desolante, pur essendo ben consci che cervi e cerbiatte contino su una platea di scarso numero, e sempre più di modeste capacità artistiche-intellettuali. Qualcuno cita spesso la favola della volpe e l’uva, e forse qui potremmo dire che l’arrivabene è una gustosa uva mai più assaggiata da una volpe che dovrebbe lavorare più seriamente e lasciare in pace gli artisti. Purtroppo in Italia certuni millantano grandi magie e invece producono piccole scoregge… fastidiose, puzzolenti, ma presto dissolvibili.
Al caro Vittorio Alberto Cervi…sento di dare un consiglio:”Vai a lavorareeeeeee ignorante!” Capraaaaaaaaaaaaa!!!…che vivi immerso nella tua pochezza e nella tua invidia…Semini vento e raccoglierai tempesta! Prima di parlare di Arrivabene e della sua pittura devi lavarti la bocca col sapone…Sei indegno e squallido!!!!
Ormai tutti sanno che dietro a Vittorio Cervi si nasconde il critico Alberto Agazzani, ex curatore di Arrivabene. Un brutto passo falso per uno con ambizioni politiche.
Ma chi è Vittorio Cervi?
Vi ringrazio dell’attenzione, ma non ho bisogno di nascondermi dietro a pseudonimi per affermare il mio pensiero, per altro sempre chiarissimo. Buona vita a tutti!