Un gioco di soppesati equilibri. Marco Gastini (Torino, 1938), per esporre l’ultima fase della sua evoluzione -che parte alla fine degli anni ’90 per arrivare fino ad oggi- rivoluziona completamente lo spazio della galleria, creando differenti e inusitati punti di vista. Contribuendo così all’allestimento di una mostra eccellente, basata fondamentalmente su di un’idea di respiro e leggerezza, con una sospensione visiva fondata sulla teoria piuttosto che sulla prassi.
Pochi pezzi selezionatissimi, ma essenziali al fine espositivo, si compongono e intrecciano tra loro per un allestimento degno di un museo. L’artista, che ha contribuito in prima persona, ha tolto faretti, mobili e ogni tipo di oggetto che potesse creare disturbo, per lasciar parlare solo il colore e la materia. Mantenendo un’attenzione particolare per le cose in bilico -come lui stesso sostiene- e mostrando quadri concettuali che hanno un loro preciso codice. Su tele blu, incolori o di materiale vario, che hanno già vissuto una loro storia precedente, teli di camion che hanno viaggiato o pergamene, che proprio per tutte le loro imperfezioni sono già contenitori d’energia, sempre accompagnate da un ricamo di fil di ferro grezzo. Un elemento sostanziale all’opera trovato così in natura, non modellato nè piegato, e che proprio per questo motivo contiene già al suo interno una tensione diversa.
Opere installate come fossero bassorilievi (come ad esempio l’intrigante Del respiro sospeso) che sembrano galleggiare nell’aria, con una pittura che prosegue sul muro -che diviene anch’esso parte importante- e che affina il senso generale di galleggiamento. Mentre, come unico collegamento, il fil di ferro si contorce e si struttura da solo, creando inedite geometrie. Affascina, tra i pochi colori utilizzati dall’artista, quel blu oltremare che vuole rammentare l’infinito, incessante ed intenso, timbrico come uno squillo.
La sensazione è come se la pittura sfuggisse, e la superficie attorno diventasse improvvisamente protagonista. I pezzi di Gastini sono piccoli segni che acquistano una propria spazialità, che mostrano l’essenza di un discorso formale e filosofico prima di tutto, in cui la materia in tensione cerca di uscire dal mero supporto dove agisce il lavoro, di andare oltre. Il titolo (La pittura … addosso) dice bene. La pittura invade le pareti e l’atmosfera, crea fluttuazioni e spostamenti, entrando nella pelle di chi guarda, sul corpo e sulle mani. Le opere arrivano addosso, sembrano volare intorno all’osservatore che avverte la sensazione di sentirsi quasi emotivamente fasciato, compreso all’interno, in una sorta di viaggio iniziatico psicologico e mentale. Anche il materiale scelto ha un suo preciso significato –il plexiglas che supporta e il vetro che invece mostra, materiale nobile- oltre a contenere già la pittura, acquista difatti una nuova e seconda vita misteriosa quando viene plasmato da Gastini.
La riflessione diviene così parte sostanziale di una poetica che sceglie l’astrazione come mezzo privilegiato di comunicazione spirituale del non ancora conosciuto.
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