Vladimir Nikolic (Belgrado, 1974) si muove con disinvoltura fra le citazioni che scomoda per smantellare ogni tentativo di categorizzazione del proprio lavoro. Aveva iniziato col chiarire che la sua nazionalità non lo obbligava a incentrare la propria opera sul tema della guerra o su quel folklore che l’Occidente ama legare all’Est Europa, così ha assoldato una “piangitrice” montenegrina professionista per rendere omaggio alla tomba di
Duchamp. E il Pompidou lo aggiunge subito alle proprie collezioni.
Con la stessa arguzia mista a profondità approda per la prima mostra in Italia, con alcuni recenti lavori che funzionano come pretesti e spunti, in un allestimento curato e pulito, dove anche la scelta di monitor vintage è funzionale alla messinscena.
L’art star system è un bersaglio spesso preso di mira; più raramente è colpito con la stessa efficacia. La continua denigrazione di se stesso, il perenne riferimento alla noia, l’incessante serie di disperati tentativi di etichettare il suo lavoro vengono portati avanti da due finti critici, che diventano i veri protagonisti dei video/performance che fingono di decifrare, facendo sorridere ma soprattutto riflettere.
Si fa subito la conoscenza di Mark e mr Q (due giovani attori inglesi, il cui accento impeccabile accentua l’ostentata serietà e seriosità dei discorsi e delle critiche che affrontano), la cui voce accompagna e descrive la maggior parte delle opere, utilizzando tutti gli stereotipi della critica d’arte contemporanea. La presunta operazione di Land Art, durante la quale l’artista sta spostando ingenti quantità di neve su un lato di una montagna è negata dalla staticità della fotografia. Ma ciò non è sufficiente a placare le dispute, che si ripetono nella coppia di video successiva, in cui l’artista ricrea le tipiche azioni “inutili” e titaniche delle performance degli anni ’70.
Infine, si lascia uno spiraglio alla necessità di creare forme; l’audio è abolito e viene lasciato al visitatore il compito di narratori di questo
tableau abstract, in cui l’artista sposta sagome di cartone, realizzando quadri tra il Suprematismo e i primi esperimenti della psicologia della Gestalt, fino ad ammiccare a una croce rossa che ricorda quella presente in tanti lavori di
Beyus. Ed è a questo punto che ci si chiede se l’interpretazione è corretta oppure se siamo anche noi caduti in trappola, diventando l’ennesimo mr/miss Marc della situazione.
Chi invece risulta sicuro di quel che sta facendo sono indubbiamente Nicolic e la galleria che lo ospita, che con questa mostra e con la parallela programmazione, che accoglie le ricerche di artisti giovanissimi, stanno dando una boccata d’aria fresca alla stagnante situazione che ultimamente affligge la città.