Una mostra per raccontare i desideri di un uomo, le sue gesta, le sue virtù, per dar visibilità alle sue passioni, per inondare di nuova luce gli ambienti che lo hanno visto vivere; scegliere per l’allestimento il castello di Sismondo è già di per sé un evento di straordinaria importanza dal momento che questa è la prima volta che questa possente costruzione apre i suoi battenti al pubblico dopo i restauri di cui è stato oggetto.
In concomitanza con la fine dei restauri che hanno restituito splendore anche al tempio Malatestiano, a Rimini si è voluto fare un salto in dietro nel tempo tra gli antichi fulgori della Rinascenza, si è giunti così a sondare gli anni intensi e tormentati, fastosi e contraddittori della reggenza di Sigismondo Pandolfo Malatesta.
Una luce soffusa che invita al rigore rievocando l’austerità di quegli ambienti, che sembra uscire direttamente dalla pietra che fa da sfondo ad ogni teca, ci accoglie e ci guida in questi spazi così anomali per la nostra mente e per i nostri sguardi che percepiscono subito un senso di vuoto cercando un percorso di fatto non segnato, tutto da immaginare e improvvisare nella prima sezione: scandita dal susseguirsi delle armature, dei cimieri, delle armi da difesa e da torneo, dalle barde da cavallo.
Tutti oggetti che per quanto preziosi in sé e straordinari segni del tempo in cui furono ideati e realizzati si riempiono di vita, assumono vero peso materiale solo al cospetto del ritratto che di Sigismondo lasciò Piero della Francesca, la prima opera che ci accoglie stagliandosi sulla parete di pietra quasi ne fosse sostanziata. In quel profilo, nel rigore che lo ha ideato, reso palpitante dallo scandire della geometria percepiamo tutto il peso politico e spirituale, l’orgoglio e la fierezza di quest’uomo che nella prima metà del 1400 dominò un vasto territorio che dalla Romagna si estendeva sino alle Marche settentrionali.
Se sala dopo sala è anche la città di Rimini ha recuperare dal passato un’immagine di sé intensa e variegata subito la presenza di Sigismondo Malatesta la percepiamo come imprescindibile, fautrice del proprio destino e di un’intera e vasta comunità civile, qui raccontata attraverso opere d’arte ma soprattutto attraverso gli studi, i progetti di quegli uomini che tra arte e scienza hanno tracciato un percorso per quella società perché vivesse con profonda consapevolezza il proprio tempo.
Così gli studi per le macchine da guerra, i trattati di architettura, le pagine di codici piene di formule, di numeri segnati con una grafia sottilissima, le fantasiose carte per i tarocchi, le sottili eleganze impresse da Michelino da Besozzo unite alla preziosità delle punzonature sono lì, gli uni accanto agli altri, a sostanziare le ragioni di un allestimento che intende presentarli come segni eloquenti del passato splendore di una dinastia, di fatto ben esemplata unicamente nella figura di Sigismondo.
Forse solo leggendo queste opere come le tante interpretazioni possibili di un unico tema sentiremmo meno pressante il peso di certe incongruenze: in mostra abbiamo trovato le mille interpretazioni che di un secolo, di un momento culturale hanno inteso dare artisti giunti da ogni parte per farsi interpreti delle esigenze di un Signore, per dar forma e sostanza alla sua idea di corte e conferire così splendore ad ogni suo gesto.
A fare comunque dell’esposizione un’esperienza intensa e un’occasione imperdibile giungono da alcuni dei musei più importanti e prestigiosi d’Europa opere quali il San Girolamo dipinto da Piero della Francesca nel 1450 e per l’occasione giunto da Berlino e la splendida Madonna col Bambino che tiene una melograna d’Agostino di Duccio ed i preziosi disegni di Pisanello giunti dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del Louvre.
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Erika Giuliani
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