La sposa persevera nel restare assente e questo preoccupa è la prima opera che si vede entrando in galleria. È una statua di
Sergio Breviario (Milano, 1974), in gesso ricoperto di grafite, che apparentemente rappresenta una lampada. Non lo è. Se ci giriamo attorno, vediamo che dietro si trasforma in una testa. Si tratta così di un essere umano che si maschera dietro la forma di un oggetto, per spersonalizzarsi e deresponsabilizzarsi dalla fatica di esistere.
Del resto, nell’intera mostra l’elemento persona non fa mai una gran
figura ed è soppiantato da un più degno atteggiamento animale che si muove, invade, arriva, se ne va, fa gruppo; mentre l’uomo si nasconde, resta fermo, zitto e inattualizzato. Sempre Breviario ci suggerisce, tracciandolo a mano su carta: “
Se le teste avessero le mani conquisterebbero il mondo”. Il condizionale sta a indicare che così non è: teste e portatori hanno perso. Che cosa? La possibilità di lottare, forse, funzione che è assegnata, nell’installazione di stampe plotter
La stanza delle pulci, a infestanti insetti che coprono le pareti di un piccolo ambiente e che scacciano l’
Asino in vetroresina di
Davide Rivalta (Bologna, 1974). Questo, a testa bassa, con atteggiamento umile e senso della fatalità, si rassegna a lasciare il territorio, uscendone.
Uscendo anche noi dalla galleria per andare a visitare il secondo spazio della mostra, dislocato a qualche metro di distanza, incontriamo a metà strada un’altra sua scultura, sempre in vetroresina: un
Orso in dimensioni reali. Ci guarda sorpreso, immerso in un piccolo angolo verde del centro di Bologna, e ci dà la sensazione di essere visitatori dei boschi che si trovano faccia a faccia col padrone di casa. Forse, spaventati, la cosa più naturale da fare è proprio quella di rifugiarsi nel “magazzino” della galleria. Uno spazio ampio, suggestivo, molto meno freddo degli spazi precedenti e che forse li rimpiazzerà nei prossimi mesi, annettendo i locali adiacenti.
Qui ora troviamo una installazione di Breviario:
Lo sposo e la scala. Su una pedana verde, quasi un campo da gioco, si trovano alle estremità opposte due simboli del mondo maschile e femminile. Nessuno dei due ne esce in modo positivo. L’uomo è una sola testa, senza arti, e quindi vincolato nello spazio, tozzo, irregolare, scuro, con due enormi occhi che sono in realtà disegni ispirati a calici capovolti e che potremmo azzardarci a interpretare come una visione distorta del mondo o come una sete che non potrà essere mai appagata.
La donna è tutto busto, nel senso che è letteralmente decapitata e anche senza gambe; un busto inchiodato alla base da un palo in acciaio che la rende prigioniera. È elegante, snella, sinuosa, affascinante e vestita con un gusto eccellente. Ma resta senza orientamento e direzione, mummificata nella propria apparenza.